Dopo la ventata di novità che ha caratterizzato le elezioni in Francia, con Emmanuel Macron alla Presidenza della Repubblica ed il successo del suo movimento politico, La Republique en Marche (LREM), anche in Germania c’è stato un mezzo ribaltone.
Angela Merkel sarà ancora Cancelliera, per la quarta volta, ma di una Germania che si è scoperta improvvisamente più divisa e piena di contraddizioni di quanto non ci si attendesse. E dovrà cambiare alleati, cercando un accordo con Liberali e Verdi: una novità mai sperimentata a livello di governo federale. Il calo del consenso nei confronti della Grande Coalizione, CDU-CSU ed SPD, che ha governato negli scorsi quattro anni rispecchia una segmentazione sociale, economica e politica che si riteneva ormai superata: nonostante siano passati ben 28 anni dalla caduta del Muro di Berlino, i Lander Orientali hanno votato in modo assai diverso da quelli Occidentali, con le opposizioni che spopolano, sia a sinistra che a destra. Non c’è solo la Linke a mantenersi tradizionalmente ben insediata, ma è lì dove l’immigrazione è ancora ai minimi e dove il reddito è più basso della media che ha fatto il pieno la più recente formazione politica di destra, AfD, dichiaratamente ostile all’immigrazione: ha raccolto in media il 10,7% dei voti nei Lander occidentali della ex RFT ed il 20,5% in quelli orientali della ex DDR. Ha ottenuto il 27% dei voti in Sassonia, il 22,7% in Turingia, il 20,2% in Brandeburgo, il 18,6% nel Mecleburgo-Vorpommen: tutte aree assai povere. La Linke, a sua volta, ha avuto il suo miglior risultato a Berlino, paradossalmente un’area ancora parificata ai Lander orientali ai fini del salario minimo, con il 18,2%, classificandosi così come secondo partito dopo la CDU-CSU che ha raccolto il 22,7%. Sempre la Linke ha raggiunto il 17,8% in Sassonia-Anhalt, ed il 16,9% in Turingia. Questa è la polarizzazione del dissenso nelle regioni meno floride.
C’è una sostanziale disarticolazione dei consensi rispetto alla grande coalizione che ha governato negli scorsi quattro anni: in Turingia, la CDU-CSU e l’SPD hanno ricevuto insieme il 41,4% dei voti, mentre a destra la AfD ed a sinistra la Linke ne hanno raccolti il 39,6%; in Sassonia, i consensi sono stati rispettivamente del 37,4% e del 44,1%. Sommando anche i voti raccolti dai liberali della FDP e dai Verdi, si vede che il cappotto che gli elettori tedeschi hanno messo addosso alla uscente coalizione di governo è stato davvero molto pesante.
Anche nella nazione più prospera dell’Unione Europea, quella che meno ha sofferto per la crisi finanziaria ed economica ormai decennale, le due principali famiglie politiche europee, Popolari e Socialisti, sono in crisi. I due principali partiti tedeschi, la CDU-CSU da una parte e la SPD dall’altra, non hanno più il monopolio della rappresentanza politica: nel 1949, i primi avevano 309 esponenti, mentre il secondo ne contava 193, per un totale di 502 componenti su 630 assegnati, cumulando l’80% dei seggi. Ancora nelle elezioni del settembre 2013, la CDU-CSU aveva riportato complessivamente 311 seggi, mentre l’SPD ne aveva avuti 193, per un totale di 504 seggi su 631, pari all’80%. Stavolta, la CDU-CSU ha ottenuto 246 seggi (-65) ed i Socialdemocratici 143 (-50): arrivano insieme appena al 56%. I liberali dell’FDP ed AfD hanno invece superato entrambi la soglia di sbarramento del 5%, che nel 2013 aveva impedito loro di ottenere una rappresentanza al Bundestag: è così che hanno portato via un consistente numero di seggi alla precedente coalizione.
La Germania si trova di fronte a tre problemi che sembravano essere stati risolti: questione orientale, ondata migratoria, alto rischio di povertà e precarietà del lavoro. La costruzione di un programma di coalizione con i Liberali dovrà tener conto della loro piattaforma elettorale, tutta incentrata sull’innovazione nel campo formativo, sulla digitalizzazione nella produzione, e sulla competizione globale. E’ un progetto politico basato sul cambiamento, “per far diventare reale l’allucinazione del benessere in Germania”: secondo il leader del FDP Christian Lindner (nella foto), i bassi tassi di interesse e la svalutazione dell’euro determinati dalla politica monetaria accomodante della Bce avrebbero fatto credere ai tedeschi di essere più competitivi di quanto non sia in realtà. Occorre investire massicciamente, “per rendere il paese l’avanguardia tecnologica d’Europa”, nelle reti infrastrutturali, nelle start-up e nell’Industria 4.0, modernizzando il sistema amministrativo e semplificando la normativa sul lavoro: è un approccio identico a quello delineato dal Presidente francese Emmanuel Macron nel suo libro-programma, dal titolo assai emblematico “Révolution”.
Per quanto riguarda l’Europa, la posizione del leader liberale tedesco è invece ben diversa rispetto a quella di Macron, che nel suo recente intervento alla Sorbona ha prospettato una “Europa sovrana, unita e democratica”. Ribadendo la posizione dei suoi predecessori al governo con Angela Merkel negli anni 2009-2012, durante a campagna elettorale Lindner si è detto contrario a qualsiasi condivisione del debito europeo, anche nell’ambito dell’Unione bancaria, e ad un budget comune dell’Eurozona: se mai servisse un supporto agli investimenti, se ne potrebbe discutere, ma per ora di moneta stampata dalla Bce per finanziarli ce n’è più che a sufficienza. E’ una posizione dura, che ritorna indietro anche alla vicenda degli aiuti concessi alla Grecia: allora sarebbe stata una soluzione molto più umana e produttiva consentire ad Atene di uscire dall’Eurozona, svalutando pesantemente dopo aver adottando una sua moneta nazionale, una Nuova Dracma. Ma ora, qualsiasi proposta di trasferimenti per finanziare i deficit pubblici potrebbe “offuscare le responsabilità di alcuni Stati”, in particolare quelli che non sono in grado di addrizzare autonomamente il loro sistema di welfare pubblico.
Per Lindner, il surplus commerciale tedesco è un falso problema, perché ad esso corrisponde un altrettanto cospicuo flusso di capitali verso l’estero che contribuisce allo sviluppo delle economie in cui vengono investiti: si deve essere grati alla Germania per non essere così egoista dal voler accrescere unicamente la sua economia. Con il suo export di capitali contribuisce alla prosperità, alla stabilità ed alla crescita globale. L’aumento dei consumi interni in Germania, così come quello degli investimenti che non sono ancora all’altezza degli ammortamenti in corso, dovrà essere finanziato con una riduzione del carico fiscale, a mano a mano che gli equilibri del bilancio lo consentono.
Quella del leader dell’FDP Lindner è una esplicita candidatura al Ministero delle finanze, un posto che si è già reso libero per via della designazione di Wolfang Schaeuble alla Presidenza del Bundestag.
Siamo di fronte ad una prospettiva divaricante: mentre Francia e Germania sembrano condividere una stagione neoliberista, visto che la piattaforma programmatica di Emmanuel Macron e quella di Christian Lindner sembrano essere identiche sul piano delle politiche interne, la divergenza in ordine alle prospettive europee non potrebbe essere maggiore. Il liberale Lindner è molto meno attratto del socialdemocratico Schultz dalle ipotesi di rafforzamento delle istituzioni europee: l’Europa è uno strumento che deve servire a non far deragliare, non a trainare chi è più lento. Quindi, è la Germania che deve porsi come competitore globale, rispondendo direttamente alle sfide di Trump, della Brexit, e della Cina. Macron sembra più orientato ad una Europa che agisce in modo unitario, seppure con politiche interne coerenti a renderla più competitiva sul piano internazionale. Lindner sembra aver superato il complesso della sconfitta, che cerca nell’ideale europeo un luogo in cui risolvere la secolare questione tedesca. Macron sembra voler mantenere alla Francia il suo ruolo tradizionale, quello di una potenza asseritamente vincitrice di una guerra che in realtà l’aveva vista militarmente sconfitta in appena una settimana e poi politicamente succube dei nazisti per anni: l’Unione Europea, attraverso cui la Francia controlla l’esorbitante ambizione tedesca, è stata solo il guscio di questa visione. In Germania, AfD e FDP hanno più insieme del 20% dell’elettorato, tutto pesantemente a destra della CDU-CSU: Angela Merkel non ha più nessuna scelta da fare. E’ la Germania che ha scelto.
Non è affatto paradossale, dunque, il quadro che si va delineando: come già nel passato, è nei momenti in cui la Germania sente di essere parte di una sfida globale che emerge la sua volontà di potenza. Finché era stata resa debole, divisa territorialmente perché doveva espiare le colpe del passato, e farsi perdonare, si acconciava alla unità di intenti, europea ed atlantica. Ora non c’è spazio per alcuna condivisione: anche l’impeto di Macron è stato lanciato inutilmente, come una cima in mare aperto. Ognun per sé, ancora una volta.