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Papa Francesco, i cattolici e il Sud. Parla Milone (Rai Vaticano)

Di Carolina Servidio

Massimo Enrico Milone dal giorno delle dimissioni di Papa Ratzinger, è stato chiamato alla guida di Rai Vaticano, la struttura della direzione generale Rai per l’informazione religiosa. Racconta e fa raccontare il Papa ed il suo Magistero con gli occhi di un cronista che viene dalla periferia. Per dieci anni, Milone, giornalista Rai dal 1979, laureato in giurisprudenza, è stato il capo della redazione Rai della Campania. Già presidente italiano dell’Unione Cattolica Stampa e per trent’anni articolista del quotidiano cattolico Avvenire, ha nel cuore, il Mezzogiorno e le sue problematiche. Tra i libri scritti, due per Guida Editori, portano al Sud, “Lettera a Francesco”, volume scritto in occasione della visita del Papa a Napoli e “Dal Sud per l’Italia. I cattolici. La società. La chiesa di Francesco”, premiato, tra l’altro, con il “Sele-Mezzogiorno” ed il “Capri San Michele – Italo De Feo”. Milone, tra l’altro era stato insignito, in Senato, del Premio D’orso per la meridionalistica.

Nel suo ultimo libro lei afferma che “i cattolici non sono pronti alla post modernità” partendo dal ruolo che essi potrebbero avere nella nuova “questione meridionale” rispetto a problemi come mancanza di lavoro, fuga di cervelli, coesione sociale, globalizzazione ecc. Tutto ciò a cosa è dovuto? Mancanza di formazione? Informazione? Comunicazione?

I cattolici ci sono, eccome. Ma uso una metafora. Appaiono oggi timidi. Mi chiedo se, pur importanti isole di eticità e professionalità, riescano a fare sinergia e ad incidere nella scelte delle istituzioni, della politica, dell’economia, dei media? Hanno consapevolezza che potrebbero essere, non solo la coscienza critica di un Mezzogiorno che ha smarrito il senso identitario e comunitario, ma la leva per imporre scelte prioritarie ad una agenda politica dove la parola Sud è stata da tempo rimossa?. Non parlo ovviamente di finanziamenti e progetti che, in questi ultimi mesi, è piovuta sul Sud. Ma parlo della possibilità, per i cattolici, da cittadini, da lavoratori, da professionisti, da uomini di cultura, o di solo buon senso, di ritrovare pieno diritto di cittadinanza e di proposta recuperando dal Sud per il paese idee, identità, storia, visione di futuro.

Perché ha scritto questo libro?

“In Italia è cambiata la geografica politica, sono scomparsi i partiti, sono nati i movimenti, sono finiti gli interventi straordinari, fragile è l’assetto delle partecipazioni statali, massiccia l’immigrazione che rende urgenti nuove forme di solidarietà. Il Mezzogiorno è diventato il primo approdo della speranza, un laboratorio civile ed ecclesiale. Occorre declinare parole nuove come accoglienza e sviluppo, giustizia e promozione umana, dialogo con altre religioni e culture facendo i conti con paure ed egoismi, la Chiesa più che mai si sente chiamata alla luce della Dottrina Sociali ad inserirsi in queste dinamiche storiche e sociali. Per i laici è il momento della responsabilità, sia il mercato che la politica hanno bisogno di persone aperte al dono reciproco e di una cultura politica che alimenti l’attività degli amministratori di visioni adeguate di solidi orizzonti etici per il servizio al bene comune. Sconfiggendo meccanismi perversi e corruzione. Per il Mezzogiorno un banco di prova, una vera e propria rivoluzione. Con un dato positivo. Sul quale investire. I giovani. Dicono no a rassegnazione, indifferenza, sfruttamento. Sono cittadini attivi”.

Lei non ritiene che la Chiesa abbia avuto in parte le sue colpe?

Non credo. Tra le agenzie educative la Chiesa ha parlato per il Mezzogiorno. Con i suoi martiri. Penso a don Puglisi e don Diana, tra i tanti. Ora è attraversata dalla rivoluzione di Papa Francesco. E ancora una volta recentemente i vescovi hanno parlato. Ed ancora un volta tra pochi giorni a Cagliari sul tema lavoro e giovani, con la settimana della Dottrina Sociale, i vescovi parleranno. Ma occorre preparare cittadini professionalmente seri e competenti. Ed impegnarsi a farli crescere secondo quel “parametro interiore” di cui parlava San Giovanni Paolo II nella “Sollicitudo rei socialis”. Umanità e carità, iniziativa e responsabilità, conoscenza della propria cultura e contesto globale. E sempre difesa e promozione della dignità della persona. E’ il campo d’azione cristiano, da laici. Con l’opzione preferenziale, come ci ricorda Papa Francesco, agli ultimi.

Che cosa sta cambiando durante il pontificato di Bergoglio?

Carità, solidarietà, accoglienza, accompagnamento, futuro. Siamo proiettati per Francesco a quel umanesimo che nasce dalla capacità di integrare, dialogare, generare un paradigma economico e sociale inclusivo ed equo che investa sulle persone e non solo sul mercato. Un’idea di sviluppo che deve tener conto, non solo della crescita economica ma anche dello sviluppo integrale di cui la crescita è solo un aspetto. Da questa visione discendono i concetti di bene comune, di sussidiarietà e di solidarietà che sono alla base di un nuovo Umanesimo europeo, come ci ha ricordato più volte il Papa argentino. Basti pensare alla “Evangelii Gaudium” o alla “Laudato sii”.

I cattolici come stanno vivendo l’attuale pontificato?

Nel tempo di Papa Bergoglio i cristiani forse non hanno compreso fino in fondo l’ampiezza della sfida che proviene loro dalla post modernità. Continuano a compiacersi che, se pur timidamente, le legislazioni occidentali sono ancora forse intrise di qualche valore cristiano ma rischiano di non avvertire che la comunità cristiana è chiamata ad operare ed inserirsi come identità minoritaria nel dibattito del politeismo etico. Il rischio per i cristiani impegnati nelle istituzioni, nella politica, nel sociale, è una sorta di auto-ghettizzazione culturale con la riduzione del cristianesimo allo stato di sottocultura etica senza coraggio profetico. Non è possibile. Occorre offrire a tutti gli elementi per una lettura della realtà alla luce del Vangelo. In una situazione di frontiera per posizionarsi nei campi più difficili, nei crocevia delle ideologie perdute o delle trincee sociali sempre più drammatiche ed allarmanti. Recuperando le intuizioni del Concilio Vaticano II, ed un storia di cattolicesimo sociale, fatta di responsabilità piena dei laici. Il Mezzogiorno può essere un laboratorio fondamentale.

Rapporto tra politica e cultura. Rapporto conflittuale? Oggi più o meno di ieri?

La Politica: un pensiero debole in questi ultimi decenni. E senza un pensiero forte rimane solo sterile e scomposta. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Ma anche la cultura è spesso inginocchiata rispetto al potente di turno, alle sue colpe. Così come il sistema mediatico. Intellettuali e giornalisti dovrebbero ricordarsi sempre di essere la coscienza critica del paese. Dalla parte dei cittadini. Nessun conflitto, ma ruoli diversi. E responsabilità diverse.

Uno degli ultimi documenti dei Ministri della Cultura europei parla di “una cultura che può tenere uniti, di un cultura che può costruire un’identità comune”. Eppure lei parla di due Italie, di due culture diverse?

“Statistiche alla mano e realtà vissuta, il rischio di due Italie è evidente. Ma occorre combattere e superare questa divisione. Da meridionale con una certezza, la “redenzione – scriveva don Sturzo nel suo famoso lanciato a Napoli per il Mezzogiorno – comincia da noi. La nostra parola è questa: il Mezzogiorno salvi il Mezzogiorno. Così il resto dell’Italia riconoscerà che il nostro è un problema nazionale ed unitario basato sostanzialmente nella chiara visione di una politica italiana mediterranea e di una valorizzazione delle nostre forze”. Sono trascorsi decenni da quell’appello, ma chi si ricorda di don Sturzo?.

L’incontro di culture diverse unisce o divide?

Unisce, eccome. L’atlante ecumenico di Papa Francesco può essere la nostra bussola. Il Papa si mette in gioco costruendo legami non solo di diplomazia ma di amicizia. La nostra società deve essere protesa all’incontro tra diversi partendo proprio da quelle periferie geografiche ed esistenziali declinate dal Papa. Anche in questo incontro il Sud con il suo immenso capitale storico ed umano con la sua grande cultura – penso alle Università – può essere un laboratorio. Il Paese non crescerà se non insieme, scrissero i vescovi italiani, vent’anni fa. Ora ci sono prove più forti rispetto alla sfida dell’immigrazione che viene dalla guerra, dai populismo striscianti, dagli egoismi economici, da uno scenario politico post ideologico, da un mondo senza leader riconosciuti. Per i cittadini cristiani, il campo d’azione è coniugare senso identitario e spirito comunitario, impegno privato ed impegno civile, Vangelo e responsabilità sociale, legalità e convivenza multietnica, sicurezza e dignità del lavoro. In una visione di spazio pubblica, moderna e solidale e unificante. Grande sfida.

È la cultura ad avere influenzato la politica o è stata la politica ad aver impoverito la cultura?

Una politica pervasiva mortifica la cultura. Una cultura tiepida rispetto ai poteri forti alimenta una politica debole. Occorre ricordare sempre come ammoniva Paolo VI che la politica è la più alta forma di carità e di servizio. Ed un papa come Ratzinger definì la politica “un compito della più grande importanza da illuminare con la fede, il magistero della Chiesa e la carità di Cristo”. Ed ancora Papa Francesco parla di politica con P maiuscola. Ma i laici cristiani non siano lasciati soli ma spinti o accompagnati all’assunzione di responsabilità per dar vita a classi dirigenti competenti ed eticamente responsabili che siano utili all’intera comunità nazionale.

La memoria di uomini come Lazzati, Fanfani, La Pira, Dossetti può essere utile? 

Occorrerebbero scuole di formazione, innanzitutto. Ricordo un grande maestro come Ettore Bernabei che a oltre novant’anni aveva dato vita a forum formativi per i giovani, attraverso anche la costituzione dell’ACAF (Associazione Culturale di Alta Formazione). Bernabei aveva una visione di Paese, di futuro ma innanzitutto era un cristiano responsabile. La memoria di questi uomini…… di fronte alle nuove giovani generazioni a rischio web, figli di una cultura virtuale senza ancoraggio alla realtà. La costruzione di un paese diverso non passa attraverso un tweet.

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