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Che cosa penso della nuova legge elettorale

Una legge elettorale è come una fotografia: deve ritrarre la volontà del popolo sovrano. Una fotografia che non sbiadisca per almeno cinque anni, la durata di una legislatura, perché deve anche assicurare il colore della governabilità. E’ sempre nel compromesso tra il saper rappresentare le scelte dei cittadini e, allo stesso tempo, garantire la stabilità di una maggioranza in Parlamento e a Palazzo Chigi, che si misura il valore di una riforma. In particolare di quella appena approvata dalla Camera fra dure proteste in aula e in piazza.

Ma il punto controverso non è quello di puntare il dito contro l’”inciucio” fra Pd, Forza Italia e Lega, come fanno gli oppositori. Le regole del gioco hanno bisogno del più grande e, a volte, strano accordo possibile. Ed è propaganda evocare il fascismo per attaccare una procedura pur insolita (il ricorso a un voto di fiducia in materia elettorale: comunque una pessima decisione), che però è destinata a passaggi uno più democratico dell’altro. Il Senato, il Quirinale, il possibile ricorso alla Corte Costituzionale e via elencando.

Invece, la vera questione del testo nato per il dovere istituzionale d’avere un sistema elettorale armonioso fra le due Camere, e sviluppatosi in modo lento e pasticciato, è se esso saprà davvero fotografare l’Italia che verrà nella primavera elettorale del 2018. Rappresentanza e stabilità sono assicurati? Quanti dubbi. Il meccanismo, prevalentemente proporzionale ma mescolato con l’uninominale, appare enigmatico. Se il pregio di una buona legge dev’essere, prima di tutto, la chiarezza, qui non si capisce nulla.

Poi l’approccio partitocratico dei candidati imposti dai capi-partito, è predominante sulla libera scelta degli elettori di preferire Tizio a Caio. Infine, la nazione tripolare -Renzi, Berlusconi e Grillo- quale ormai siamo da tempo, sarà costretta a un’intesa bipolare tra gli opposti per governare. Un’intesa fragile, fatta non sulla base di un programma in comune tra Renzi e Berlusconi, l’ipotesi più probabile, ma di uno stato di necessità: fare un governo. Del resto, è da almeno vent’anni, dal passaggio fra prima e proporzionale Repubblica alla seconda in prevalenza maggioritaria, che i partiti si creano le leggi elettorali a propria immagine e somiglianza. Salvo poi sorprendersi perché gli effetti sono diversi da quelli sperati. E anche adesso hanno anteposto il loro “selfie”, alla fotografia dell’Italia in cammino.

(Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)


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