Skip to main content

Perché il Consiglio europeo traccheggia sulla ripartizione automatica dei richiedenti asilo

JEAN CLAUDE JUNCKER DONALD TUSK

Oggi si parlerà di Brexit, ma il primo giorno del Consiglio europeo di Bruxelles ha le sue prime conclusioni. Nelle note di colore è da segnalare l’assenza di mobili nei vecchi uffici in cui si sono accampati i diplomatici nazionali, per l’impossibilità di usare, per ragioni di sicurezza belghe, quelli appena inaugurati. Tra i risultati, vanno invece annoverati i punti su immigrazione, Europa digitale e difesa.

IMMIGRAZIONE

Le Conclusioni del Consiglio non sono entusitasmanti: sebbene la Commissione Libertà civili del Parlamento europeo abbia votato ieri 19 ottobre la proposta di modifica del regolamento di Dublino, il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk (in foto), ha detto che fino al 2018 non si riuscirà a trovare una posizione comune. La ripartizione automatica dei richiedenti asilo resta infatti un problema aperto, per l’ostilità dei Paesi di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) a cui si aggiunge l’Austria. Il ministro degli esteri e prossimo giovane cancelliere Sebastian Kurz – che comunque si è dichiarato pro-europeo – “dopo un’intensa giornata di lavoro” se ne è tornato a Vienna scusandosi, senza quindi partecipare alla cena e alla colazione di lavoro, e alla riunione di oggi a 27 sulla Brexit.

I progressi però ci sono. Oltre a tenere fermi i risultati sulla rotta balcanica (negli accordi con i singoli Paesi e in particolare con la Turchia), oltre a far funzionare vari strumenti di contrasto e di assistenza, oltre a elogiare e sostenere l’Italia come Paese di frontiera, l’intenzione è di “chiudere” (non solo ridurre) la rotta del Mediterrano centrale – in particolare in Libia – con vari mezzi e con investimenti aggiuntivi all’ EU Trust for Africa. Jean-Claude Juncker, Presidente della Commissione europea, è incaricato di trovare i soldi. Le politiche sull’immigrazione di cui si è parlato al Consiglio sono diventate ormai un sistema complesso e in movimento in cui si intersecano mezzi e strumenti di varia natura – diplomatici e politici – Paesi membri e organizzazioni internazionali, missioni di stabilizzazione e azioni di sviluppo economico.

EUROPA DIGITALE

Nel Consiglio si è tenuto un dibattito acceso sulla tassazione dei giganti del web, con una profonda divisione tra i Paesi (per esempio Francia contro Irlanda e Lussemburgo), tanto che Donald Tusk si è messo a parlare di “unità”. Il problema è quindi aperto: la strada al momento indicata è di mettersi sulla scia delle raccomandazione dell’OCSE, ma anche di formulare una proposta di digital tax nei prossimi mesi.

I Paesi membri hanno però dato per acquisito che i progressi tecnologici – per impatto e rapidità di sviluppo – richiedono politiche comuni europee. Dal tono, sembra una faccenda da prendere sul serio, perché riguarda le reti, la circolazione dell’informazione (anche fake), l’industria 4.0, la competitività del continente, i diritti. Il Vertice di Tallin del 29 settembre ha tracciato la strada, e il Consiglio europeo ci mette del suo: forte digitalizzazione dei procedimenti pubblici, trasparenti e facili, “europeizzazione” della rivoluzione digitale, per esempio con il superamento dei confini nazionali (geo-blocking in Internet per esempio, con decisione entro quest’anno), sviluppo delle reti 5G, cibersicurezza, contrasto alla criminalità online e al terrorismo, ricerca e sviluppo. E infine, con una certa enfasi, approccio europeo all’intelligenza artificiale (AI), per il quale la Commissione dovrà presentare una proposta all’inizio del 2018.

SICUREZZA E DIFESA

Considerato che la “Cooperazione strutturata permanente” in materia di difesa (PESCO) è ormai un fatto acquisito dal Consiglio del 22 e 23 giugno (con tanto di mini-quartiere generale a Bruxelles), il Consiglio europeo invita gli Stati membri interessati a farsi avanti. Si userà la “cooperazione rafforzata” che permette a un gruppo di Paesi di approfondire da soli l’integrazione in alcuni ambiti: idea nata nel Trattato di Amsterdam del 1997 e ora ben scritta nei Trattati. Si è parlato di una dozzina di Stati membri, con il sostegno della Nato e l’affiancamento del Regno Unito, e quindi bisognerà contarsi entro dicembre. Continuando a superare vecchi tabù, il Consiglio ha poi incoraggiato lo sviluppo del Fondo europeo di difesa (European Defense Fund, cioè acquisti in comune), e la valutazione coordinata dei mezzi e degli strumenti (Coordinated annuale Review on Defense – CARD): tutte modalità per creare una specie di Schengen o di area unica della difesa, in conformità alla dichiarazione congiunta NATO-UE di Varsavia dell’8 e 9 luglio 2016.

IL MENU DI OGGI

Il secondo giorno del Consiglio europeo è dedicato alla Brexit, che è già stata oggetto di scambi di vedute tra i leader, costretti a coprisi le labbra davanti ai giornalisti per non farsi leggere le parole. Si è già parlato anche d’altro, dai fondi di emergenza per le zone portoghesi e spagnole colpite dagli incendi e per i Paesi baltici sferzati dalle alluvioni. Si è accennato alla Catalogna: il primo ministro belga, Charles Michel, ha detto ai giornalisti, accennando al collega Mariano Rajoy, che non bisogna esagerare e sopravvalutare (“ne pas fouetter le chat”, non mettersi a frustare il gatto), sebbene tutti abbiano riconosciuto che la grana andrà risolta all’interno del diritto spagnolo. La preoccupazione resta, se Vladimir Putin ha già colto l’occasione per fare il parallelo con il Kossovo divenuto indipendente con il consenso occidentale, a differenza della Catalogna.

Vediamo come andrà oggi sulla Brexit: sembra che Londra si muova con un approccio mediatico, mentre i leader dell’Unione vogliono progressi concreti. Per alcuni commentatori e politici, il rischio di veder saltare la data di dicembre, come punto di arrivo dei negoziati, sembra abbastanza concreto.


×

Iscriviti alla newsletter