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Perché sono discutibili le nuove regole Bce sugli Npl

La reazione delle borse di ieri indica una bocciatura per le misure varate dalla Bce sui crediti deteriorati. Pochi giorni fa Alberto Nagel, ceo di Mediobanca, aveva messo in guardia contro una variazione delle regole sugli npl, ricordando che già in passato si era aperta una fase di rischio sistemico legata all’incertezza sulle linee guida Bce.

La cosiddetta guidance sugli npl è stata poi pubblicata a marzo: da allora la situazione per le banche si è gradualmente stabilizzata. In Italia il settore si è rafforzato, grazie anche agli interventi per Mps e le due venete, completati dopo l’enorme fatica di doversi confrontare con un nuovo contesto regolamentare. A luglio anche l’Ecofin si è espresso sui crediti deteriorati. Ma ieri a tratti è sembrato di riavvolgere il nastro e rivedere un vecchio film. Banco Bpm è scesa del 5,3%, Ubi del 3,8%, Bper del 2,9%, Unicredit del 2,6%, Intesa Sanpaolo dell’1,7%. In Spagna Santander e Bbva hanno perso attorno al 4%, Sabadell e Caixa attorno al 5%.

Molti operatori ritengono che sia stata solo una presa di beneficio dopo i rialzi degli ultimi mesi, influenzata anche dai rischi politici in Europa. Di certo sarebbe un autogol clamoroso se una nuova fase di instabilità si aprisse non a causa del peggioramento degli attivi delle banche (che al contrario sono in miglioramento), ma in seguito a una iniziativa di Vigilanza. I supervisori assicurano che le misure garantiscono accantonamenti tempestivi, ma bisogna anche chiedersi qual è il prezzo dell’intervento e se i costi non annullino (o addirittura sovrastino) i potenziali benefici. Una domanda che la Bce non si è posta, se non in modo vago, visto che non è stata presentata alcuna analisi di impatto quantitativa sugli effetti delle misure. Già questo è un indizio di quale sia la priorità della Bce: ridurre al massimo tutti i possibili rischi degli npl (ma non degli altri attivi), a qualsiasi costo, senza badare alle conseguenze per il credito e i mercati.

I supervisori, così, si mettono l’anima in pace, anche perché non sono giudicati per le ricadute economiche. Eppure ora gli asset manager potrebbero essere più riluttanti a investire nei titoli bancari. Prima di fare un prestito, le banche potrebbero pensarci non due ma cento volte. E i tassi, come già prevedono gli analisti, saranno più alti, soprattutto quelli per i prestiti alle pmi e unsecured, che dovranno essere svalutati del 100% dopo solo due anni in caso di deterioramento. Non è quello che ci si aspetterebbe in una fase di ripresa non ancora forte. Qualsiasi medico suggerisce a un convalescente riposo e tranquillità, non di tornare a correre subito e più di prima.

Le misure Bce hanno sollevato perplessità sia nel merito che nel metodo. Quanto al merito, è difficile comprendere perché le banche debbano coprire integralmente in sette anni anche le esposizioni garantite. Le medie statistiche parlano chiaro: una buona parte dei crediti garantiti si riesce a recuperare. Ciò presumibilmente implicherà in una prima fase un eccesso di svalutazioni, seguito da un recupero di valore: i bilanci bancari saranno quindi più volatili.

La Bce ha inoltre limitato le misure ai nuovi crediti deteriorati, pur lasciando aperto lo spazio per “ulteriori politiche” sugli stock esistenti che saranno pubblicate “entro la fine del primo trimestre del 2018”. Per mesi, quindi, una spada di Damocle potrebbe pendere sulle banche. Sul modo in cui colpirà la spada non è stata data alcuna informazione. A una domanda sul tema Sharon Donnery, capo della task force sugli npl della Bce, ha soltanto ricordato che nella guida di marzo i target sono stati fissati a livello individuale. Donnery ha anche negato che il Consiglio di Vigilanza abbia già preso una decisione sugli stock. Perciò in breve tempo la Bce farebbe bene a chiarire del tutto la questione, precisando eventualmente che nessuna richiesta aggiuntiva sarà indirizzata agli stock di npl. In ogni caso annunciare in anticipo qualcosa di non certo, non definito e non chiaro è molto rischioso, in un settore che ha bisogno innanzitutto di stabilità.

Non è questa l’unica questione di metodo discutibile. Un aspetto non secondario è la legittimità democratica del provvedimento Bce, che è andata oltre quanto studiato nelle scorse settimane dai governi sul calendar provisioning. In ambito Ecofin si stavano valutando soluzioni meno stringenti (per esempio non su tutti i crediti garantiti) e con un più esteso periodo transitorio. I supervisori sono andati oltre le proposte politiche. Eppure la materia, considerando le implicazioni per le banche e l’economia, dovrebbe riguardare innanzitutto i legislatori. È vero che la consultazione Bce deve ancora essere approvata e in ogni caso non avrà valore di legge: ma nello stesso tempo Francoforte chiede che le nuove regole siano rispettate e può imporre misure di vigilanza (come deduzioni dal capitale) a chi non si adegua. Proprio in questi giorni il Parlamento e il Consiglio Ue stanno lavorando per diluire in cinque anni l’effetto del principio contabile Ifrs9, ma ieri la Bce con un documento di 12 pagine ha imposto criteri aggiuntivi rispetto a quelli contabili. Va detto che ogni stretta sugli npl riguarda soprattutto i Paesi del Sud Europa (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia) ma è richiesta in maggioranza dai Paesi del Nord. Sembra pesare la sfiducia di alcuni Stati nei confronti dei sistemi bancari di altri. Ma è proprio sui Paesi del Sud che ricadono le conseguenze economiche e di mercato delle strette sugli npl.

Le implicazioni sono molteplici: per esempio nelle sale operative si osserva che una riduzione dei prezzi delle banche italiane e spagnole le rende più facilmente aggredibili, in una fase in cui si parla di consolidamento anche transfrontaliero del settore. Per la Bce l’imperativo è quello di togliere al più presto dubbi e incertezze alle banche e agli investitori, ripensando anche alle lezioni del recente passato.

(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)


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