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Come si è accesa (e spenta) la protesta davanti al Parlamento ucraino in stile Maidan

Si è spenta in pochi giorni la manifestazione di protesta in stile Maidan dinanzi al Parlamento nazionale ucraino, la Verkovna Rada. Il 17 ottobre una cinquantina di tende erano state montate in strada, con una partecipazione stimata tra le 4.000 e le 6.000 persone, rispetto alle 10.000 attese dagli organizzatori. Le domande erano tre: fine dell’immunità parlamentare, una corte di anti-corruzione, una nuova legge elettorale.

IL PROBLEMA DELLE RIFORME 

A quattro anni da Maidan, l’insoddisfazione sulle riforme è abbastanza diffusa, insieme ad una certa rassegnazione e adattamento a una situazione che presenta anche segni di miglioramento, fosse anche solo per l’asfalto che viene rimesso su strade da anni pieni di buche. Il sistema degli oligarchi è mutato, è ancora al centro dell’esercizio del potere – come scriveva un rapporto del Centro di studi dell’est (OSW) di Varsavia del 2016: alcuni personaggi del vecchio regime di Viktor Janukovyč sono ancora ai loro posti. La corruzione continua a essere un problema nazionale, come riconoscono anche le istituzioni internazionali. Però alcune riforme sono scritte: sul decentramento e riorganizzazione degli enti locali e regionali, sulla sanità, sull’educazione nazionale, sul sistema pensionistico, in linea con il FMI e con l’Accordo di associazione firmato con l’Unione europea. Le attuazioni sono parziali o lente, ma nell’insieme il sistema va avanti e non minaccia crolli immediati, in un Paese che – va ricordato – è pur sempre occupato nel Donbass e in Crimea.

COM’È NATA LA COALIZIONE E COME SI È SPENTA 

Contro la corruzione e per le riforme si era costituito un gruppo di pressione e di rete politica sin dall’autunno del dopo Maidan. Sulla velocità delle riforme era caduto il governo di Arseniy Yatsenyuk il 14 aprile 2016 per lasciare il posto al nuovo primo ministro, Volodymyr Groysman. Il partito conservatore liberale Samopovich (33 eletti e quasi 11% nel 2014) era uscito dalla coalizione chiedendo più riforme. L’ex-presidente georgiano Mikheil Saakashvili, nominato dal Presidente Petro Poroshenko a governatore della regione di Odessa, si era dimesso il 7 novembre protestando contro la corruzione e il malgoverno. Lo scontro è poi andato avanti e si è fatto personale: a Saakashvili è stata tolta la cittadinanza ucraina il 26 luglio di quest’anno, e lui è rientrato nel Paese dalla Polonia l’11 settembre, iniziando un tour nelle Regioni per organizzare appunto la protesta di ottobre. Questo è il gruppo motore della protesta di piazza: Saakashvili, alcuni parlamentari di Samopovich, diverse associazioni di area riformista, sostenuti operativamente dal partito di destra Svoboda (6 parlamentari e 4,7% nel 2014) e dai reduci del Battaglione Donbas, o Azov.

I modi della protesta di piazza non hanno aiutato la coesione del gruppo: in particolare per i toni populisti e personali di Saakashvili e per la presenza paramilitare della destra estrema, di fronte a una polizia prudente e ai toni concilianti del Parlamento, che il 19 ottobre si è espresso a favore dell’eliminazione dell’immunità parlamentare, pur ancora subordinata a una decisione da parte della Corte costituzionale. In questo modo, con un ritorno della gente in piazza il 22 ottobre (si dice 1500 persone) dal 23 ottobre sono rimaste nelle tende soltanto qualche centinaio di persone, attivisti dell’area di destra e del battaglione Azov. I riformisti hanno lasciato il campo, e con loro la gente.

QUALCHE PROBLEMA IN SOSPESO 

La settimana di protesta è un segnale da prendere sul serio. Nel 2019 ci saranno nuove elezioni, e gli equilibri politici si fondano sempre più sui centri d’influenza, cioè sui maggiori detentori di ricchezze e di posizioni, cioè sugli oligarchi. Gli attentati e gli omicidi politici si susseguono con relativa regolarità, tra giornalisti ed esponenti politici: l’ultimo è avvenuto mercoledì 25 ottobre contro Igor Mosiychuk, un parlamentare di estrema destra che si è salvato per poco. Ogni tanto esplode un deposito di munizioni e, al fronte, lo stillicidio di morti e feriti continua. I dati economici sono rassicuranti nella loro criticità, con l’inflazione oltre il 16%, una crescita del 2% nel 2017 e del 3,5% attesa nel 2018. Le riforme costituiscono sempre la grande priorità, su cui ci sono scontri vivaci.

Tra i cosiddetti oligarchi, alcuni avevano strette relazioni con la Russia. È da lì che possono ancora aumentare i problemi.


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