“Mi è caro ribadire l’urgenza di promuovere oggi la pace e il disarmo, contro ogni tentazione di cedere il passo alla logica delle armi e della guerra. L’immenso tributo di dolore, di sofferenza e di morte che il Giappone ha dovuto sperimentare nel corso della seconda guerra mondiale, specialmente ad Hiroshima e a Nagasaki, serva costantemente da monito per tutta l’umanità”. Sono le parole che il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, monsignor Paul Richard Gallagher (nella foto), ha pronunciato giovedì 12 ottobre, a Roma presso la Pontificia università gregoriana, rivolgendosi ai partecipanti del settantacinquesimo anniversario dei rapporti diplomatici tra Santa Sede e Giappone.
L’INTERVENTO DI MONS. GALLAGHER E LA CITAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II
“Nel mese di gennaio scorso, durante la mia visita, dopo aver incontrato a Tokio il primo ministro Shinzo Abe, ho avuto l’onore di recarmi ad Hiroshima e di sostare in preghiera al Peace memorial”, ha raccontato Gallagher. “In quell’occasione ho ripensato alle parole di san Giovanni Paolo II: ‘Impegnamoci per la pace nella giustizia, e prendiamo una solenne decisione, ora, che la guerra non venga mai più tollerata e vista come mezzo per risolvere le divergenze, promettiamo ai nostri simili che ci adopereremo infaticabilmente per il disarmo e l’abolizione di tutte le armi nucleari, e sostituiamo alla violenza e all’odio la fiducia e l’interessamento”. Con queste premesse, ha concluso il prelato, “desidero oggi ripetere, a nome della Santa Sede, tale profetico invito perché venga assicurato alle giovani generazioni un futuro migliore nel segno dello sviluppo integrale della persona umana e della pace”.
L’INCONTRO ALLA GREGORIANA PER I 75 ANNI DI RELAZIONI DIPLOMATICHE
Durante l’incontro si è approfondita la storia delle relazioni diplomatiche tra Chiesa cattolica e Giappone fin dalle origini, a partire cioè dal cinquecento, epoca alla quale risalgono i primi contatti tra le due parti, legati allo sbarco di san Francesco Saverio, fondatore insieme a sant’Ignazio di Loyola della Compagnia di Gesù. Alla fine del secolo, però, iniziò l’epoca delle persecuzioni, con la crocifissione dei ventisei cristiani nel 1597 a Nagasaki, oggi canonizzati per mano di Pio IX nel 1962.“Nel 1587 il governatore Hideyoshi promulgò un’ordinanza per espellere i missionari”, e “fino al 1590 i cristiani erano duecentomila e i sacerdoti in tutto quaranta, con cinquemila credenti per sacerdote. Le comunità erano basate sul sistema della confraria, o confraternita, ed erano nate come comunità di cristiani nascosti e preparati a confrontarsi con le persecuzioni in corso: non avevano sacerdoti ed erano un vero e proprio segreto, resistito per 250 anni, con gruppi profondamente radicati nel sistema giapponese”, ha spiegato il padre gesuita Shinzo Kawamura. Da qui “il miracolo dell’Oriente”, quello cioè di “cristiani che hanno sopportato 250 anni di proibizioni e clandestinità, fino a che non hanno ritenuto fosse giunto il momento di mostrarsi e riunirsi alla Chiesa”.
IL “PERIODO CRISTIANO”, DELLE PERSECUZIONI, E “IL MIRACOLO D’ORIENTE”
Queste comunità, “governate solo dal laicato” e “formate per imitare il sistema delle confraternite in Europa”, rappresentano una chiave fondamentale per capire la permanenza della fede cristiana nella terra nipponica, assieme alle “profezie del catechista Sebastiano” e al “libro delle preghiere e della penitenza”, che “sono serviti come forza motrice per andare avanti e per conoscere i sacramenti nel periodo cristiano”, ha spiegato il gesuita. La profezia del beato Sebastiano Kimura, martire vicino a Nagasaki a metà del ‘600, che venne ricevuta dai cristiani nascosti in alcune zone del Paese e trasmessa oralmente, annunciava che in sette generazioni sarebbe arrivato un confessore che gli avrebbe permesso di accedere al sacramento della confessione una volta a settimana. “Quei cristiani nascosti non erano solo pastori, ma erano ossessionati dall’idea di un’autorità che permettesse loro di rimettere i peccati”. Dopo l’editto dello shogun vi erano infatti ancora duecentomila cattolici ma ormai nessun sacerdote, e il Concilio di Trento affermava che senza almeno una penitenza all’anno si era destinati all’inferno. Per via della persecuzione però, “la contrizione del cuore venne interpretata, in via eccezionale, valida come una confessione”. Questa veniva messa in pratica attraverso “il libro delle penitenze”, una preghiera di mezza pagina recitata in forma di canto Orasho. “È stato così che si è verificato il miracolo d’Oriente, con la fede, la speranza e l’amore di quei cristiani nascosti, oltre che per mezzo di certi oggetti di grande importanza, e di memorie conservate meticolosamente”, ha concluso padre Kawamura.
I PRIMI CONTATTI DIPLOMATICI E L’INIZIO DELLE RELAZIONI UFFICIALI
Nel 1918 ci fu invece “l’inizio dei contatti diplomatici ufficiali”, con il primo diplomatico, Pietro Fumasoni Biondi, incaricato del compito di riorganizzare le diocesi e di “traghettare la Chiesa locale nelle mani del clero locale”, oltre che di rinforzare “le relazioni con Stati Uniti e Gran Bretagna”. Ma nel ‘32 in Giappone prese il potere il militarismo, e la libertà religiosa venne messa in mano al governo, pronto a sorvegliare e reprimere ogni condotta tacciata di anti nazionalismo. Nel ‘40 si arrivò a un punto di stallo nelle relazioni, che l’imperatore cercò di rafforzare nel ‘41. Poi però scoppiò la guerra del Pacifico. “Il Giappone comprese il potenziale della Santa sede come mediatrice, nella sua capacità di dialogo. Non a caso gli Usa non erano favorevoli a questi rapporti, perché li vedevano come un’approvazione esplicita dell’aggressività giapponese”. Il ’52, finita l’occupazione alleata e tornato il Giappone uno Stato indipendente, ci fu l’inizio ufficiale delle relazioni diplomatiche con il Vaticano, e nel ’58 la delegazione fu elevata a ambasciata, così che Paolo VI poté elevarvi il primo nunzio.
LE RELAZIONI TRA GIAPPONE E SANTA SEDE OGGI, E LO SGUARDO DI PAPA FRANCESCO
Mentre oggi si tratta “di preservare rapporti principalmente economici”, ha spiegato l’ambasciatore del Giappone presso la Santa sede Yoshio Nakamura. “Papa Francesco sottolinea spesso l’importanza dell’inclusione economica e sociale, e le responsabilità delle società aziendali”, e in questo il “Vaticano ha offerto grandi possibilità, come con le due società giapponesi che hanno lavorato alla digitalizzazione di 80 mila documenti vaticani dal 2014, e con corporation come la Nippon Television che ha effettuato i lavori di restauro degli affreschi della cappella Sistina. Nel 2015 poi si è aperta un’enorme esposizione della Biblioteca apostolica vaticana a Tokio”. Attualmente la comunità cattolica in Giappone conta 450mila fedeli, più o meno solo lo 0,3 per cento della popolazione, e alla stessa cifra corrispondono anche i protestanti. Il che segna una crescita, considerato che nel 1919 i cattolici erano solo 174 mila, e 117 mila i protestanti. Tra questi è però molto alto il numero di lavoratori nel campo dell’istruzione, con la presenza di diverse importanti istituzioni accademiche cattoliche, tra cui la Sophia University della Compagnia di Gesù. E papa Francesco, ha affermato mons. Gallagher durante il suo intervento, è un “profondo ammiratore della millenaria saggezza giapponese e, da figlio di Sant’Ignazio, nutre speciale considerazione per la missione pastorale della Chiesa in Giappone e in tutta l’Asia”.