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Perché non esulto troppo per la caduta di Raqqa. Parla Carlo Panella

Le tribolazioni del Medio Oriente contemporaneo sono causate dalle “follie dementi” della dottrina Obama, che ha lasciato campo libero alla Russia e all’Iran e ha provocato un rimescolamento di tutte le carte.

È il parere di Carlo Panella, giornalista navigato ed osservatore di lungo corso della scena mediorientale. Che nella conversazione a tutto campo con Formiche.net, dice la sua su più dossier. Sul “caos” della Siria, anzitutto, dove in queste ore si sta consumando la “mezza vittoria” dei curdi alleati degli Usa contro lo Stato islamico. Dove l’esercito di Recep Tayyip Erdogan è calato in forza per impedire ai curdi siriani di formare uno Stato indipendente. E dove i qaedisti continuano a combattere contro quel presidente Bashar al-Assad che iraniani e russi hanno salvato dalla sicura sconfitta. Panella parla anche del referendum indipendentista dei curdi iracheni, che secondo lui non porterà ad un confronto militare con Baghdad perché le sue forze armate non sono in grado di sconfiggere i peshmerga. Sottolinea la “politica intelligente” di Vladimir Putin nella regione, dove può fare da arbitro grazie al dietro front americano voluto da Obama, e dove si delineano scenari fin qui impensabili come l’allineamento tra Israele e Arabia Saudita, sigillato dalla visita clandestina in terra Santa, a colloquio con Benjamin Netanyahu, del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Capovolgimenti di fronte impensabili, favoriti dal vuoto geopolitico generato dal ritiro strategico americano e dallo strapotere iraniano nella regione, che potrebbe, anche se non è imminente, far scaturire un nuovo devastante conflitto che opporrebbe gli Stati sunniti ed Israele all’Iran sciita.

Carlo Panella, la caduta di Raqqa, la capitale dello Stato islamico, è ormai imminente. Questo secondo lei conferma la bontà della dottrina Obama, ossia l’approccio combinato di boots on the ground curdi e aviazione Usa, che si sono rivelati determinanti nella sconfitta del nemico jihadista? Oppure, visto che ci sono voluti tre anni per sloggiare l’Isis dalle sue roccaforti, la strategia ha avuto costi quanto mai elevati?

Secondo me si deve parlare di una mezza vittoria. Bisogna tenere conto che i curdi hanno negoziato con l’Isis una fuoriuscita indenne e armata di migliaia di combattenti jihadisti da Raqqa. E questi combattenti non faranno altro che spostarsi da un’altra parte. La mezza vittoria di Raqqa dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, la follia della dottrina Obama. Perché pur di trovare qualcuno che sostituisse i militari americani, Obama e i suoi generali hanno scelto i curdi siriani dell’Ypg. Questo però vuol dire che, rafforzatisi con la mezza vittoria di Raqqa, questi curdi entreranno in conflitto, anche armato, con la Turchia, il cui corpo di spedizione è già in Siria e sta entrando ad Idlib. Questi curdi, armati dagli americani, sono alleati con i terroristi – parola che uso non a caso – del Pkk, i curdi turchi. E hanno un’ideologia alla Pol Pot, marxista-leninista. Aver favorito con l’aviazione Usa e con i commando sul terreno la vittoria dell’Ypg, una vittoria che sarà formalmente tutta dei curdi, creerà una situazione ancora più ingovernabile nel nord della Siria. È il disastro obamiamo all’ennesima potenza.

I turchi sono entrati in Siria la settimana scorsa e, secondo l’accordo preso coi russi e con gli iraniani, presidieranno la provincia di Idlib. Dove ci sono però i combattenti qaedisti di Hayat Tahrir al-Sham. Cosa faranno i turchi?

La Turchia ha sostanzialmente un solo obiettivo strategico: impedire che nel nord della Siria si formi uno stato curdo indipendente, che peraltro è già stato proclamato, è il Rojava. Non si capisce bene, quando si parla di tregue o de-escalation, di cosa si stia parlando. Quello che conta è che la Siria sarà d’ora in poi divisa in sfere di influenza. E nel nord ci sarà una testa di ponte turca, che sarà senz’altro in conflitto con i due tronconi del Rojava, perché serve come santuario dei terroristi curdi del Pkk. Le altre zone saranno controllate una da Assad, un’altra dai russi, altre piccole enclave saranno controllate dagli altri gruppi, compresa Idlib dove spadroneggia al-Qaida, forse con una partecipazione indiretta, in condominio, dell’Arabia Saudita. Un caos.

Ma in questo caos, che faranno i qaedisti? Accetteranno, a seguito della presenza turca ad Idlib, di deporre le armi?

Assolutamente no. La situazione siriana è questa: nel complesso, grazie all’Iran e alla Russia, Assad ha resistito. E questo fa sì che al-Qaida continuerà a combattere. L’infezione si è cronicizzata. CI saranno delle zone del paese, delle enclave probabilmente sempre più ridotte, in cui al-Qaida eserciterà il controllo. Altre rimarranno sotto il controllo dell’Isis. Altre sotto il controllo di gruppi minori. Questa situazione andrà avanti fino a quando non ci sarà una svolta complessiva che al momento non si capisce da cosa potrà essere prodotta. La cifra della Siria attuale è il caos.

Anche dall’altra parte del confine, in Iraq, c’è il caos. Il 25 settembre c’è stato il referendum nel Kurdistan iracheno che ha determinato la vittoria schiacciante degli indipendentisti. Un risultato nefasto, agli occhi del governo di Baghdad, che proclama di voler resistere, aiutato in questo dall’Iran e dalla Turchia, che non sono affatto intenzionati ad accettare la secessione curda, e che la impediranno con tutti i mezzi, anche minacciando l’uso della forza. Si va verso un conflitto tra i peshmerga e tutti gli altri?

Lo ritengo poco probabile per una ragione molto semplice: senza l’appoggio dell’aviazione russa, le forze di terra irachene, soprattutto l’esercito regolare di Baghdad, ma anche le milizie sciite, sono impari rispetto ai peshmerga. Ci può essere una situazione di attrito, ci sono senz’altro dichiarazioni di guerra e gli ordini di Baghdad di impadonirsi di nuovo di Kirkuk. Può darsi che ci siano incidenti. Ma se questo succedesse sarebbe tutto a discapito di Baghdad. Che incasserebbe una nuova sconfitta dopo quella del 2014 con l’Isis. Non dimentichiamo che le vittorie dell’esercito iracheno a Mosul, Falluja o Ramadi sono dovute al fatto che l’aviazione americana ha distrutto alla cecena le città assediate.

In queste partite intrecciate del Medio Oriente, un attore di primaria importanza è la Russia di Putin. La quale, pochi giorni fa, ha srotolato il tappeto rosso al re saudita Salman. Scenari inediti si profilano nel Medio Oriente. L’intesa russo-saudita può cambiare ulteriormente il quadro strategico della regione?

La situazione strategica in Medio Oriente è cambiata grazie alle follie dementi di Obama. A causa sua l’America in Medio Oriente oggi non conta più nulla, mentre il player che tiene banco è la Russia, che sta facendo una politica intelligente perché, come si vede dalla visita di Salman, gioca a tutto campo, anche con l’Iran. Tiene a bada tutti. Putin ormai si erge a padre nobile del Medio Oriente. Obama gli ha lasciato campo libero. Quale gioco faccia non è chiaro però. E nel suo gioco peraltro ora vuole inserirsi Donald Trump.

Che ne pensa della notizia, circolata poche settimane fa ma non confermata né da Israele né dall’Arabia Saudita, della visita clandestina del principe ereditario saudita Mohammad bin Salman in Israele? Secondo lei c’è stata?

Io l’ho data per avvenuta, anche se non ne sono sicuro. E politicamente possibile e addirittura probabile. L’intesa strategica tra Arabia Saudita ed Israele è tale per cui questa visita può senz’altro essere accaduta. È uno dei tantissimi cambiamenti del Medio Oriente causati da Obama, uno dei quali è il potere immenso dell’Iran.

A tal proposito, secondo lei nel pour parler tra bin Salman e Netanyahu si è parlato anche di una imminente guerra con l’Iran? La considera probabile una guerra in cui si schierino uno a fianco all’altro Israele e le potenze sunnite?

Per il momento no. È certo però che se si aggraveranno le tensioni politiche e militari con l’iran, Israele sarà con tutta la sua forza militare a fianco dei sauditi e degli alleati arabi.


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