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Referendum in Veneto e Lombardia: obiettivi, annunci e balle

Cambia la storia, ridateci le nostre tasse, vogliamo il 90% di quel che versiamo allo Stato: sulla base di proclami e parole d’ordine di questo tipo, Luca Zaia ha stravinto il referendum consultivo in Veneto (per quel che riguarda Roberto Maroni e la Lombardia, il risultato è più modesto visto che l’affluenza è stata del 38,5%). Ma come stanno davvero le cose?

Il primo problema riguarda il calendario. Comincerà la trattativa con il governo, però a decidere dovrà essere il Parlamento (e a maggioranza assoluta) il quale, una volta votata la legge di bilancio, sarà in dirittura d’arrivo e verrà sciolto. Non c’è tempo dunque per decidere alcunché e forse nemmeno per aprire un vero negoziato; tutto si sposta alla prossima legislatura e molto dipende da cosa verrà fuori dalle urne.

Il secondo problema è su che cosa trattare. Come spiega molto chiaramente Gianni Trovati del Sole 24 Ore, la questione non riguarda le entrate fiscali, ma le spese: se il governo accetterà le condizioni poste dal Veneto e dalla Lombardia, aumenteranno i trasferimenti dal bilancio pubblico, non verranno ridotte le imposte che le regioni versano al governo. Il cosiddetto residuo fiscale, grido di battaglia di Zaia e Maroni, resterà del tutto immutato. Perché?

In discussione, spiega Trovati, è l’articolo 116 che riguarda le regioni a statuto speciale, e in particolare il terzo comma della Costituzione varato con la riforma del Titolo V, che non si occupa di fisco, ma di servizi. Le due regioni chiedono più autonomia aumentando le competenze (escludendo giustizia, istruzione e ambiente che lo Stato centrale non può cedere). In base alle rivendicazioni, la Ragioneria centrale dello Stato farà il conto della spesa in base al quale si svolgerà il braccio di ferro con il futuro governo per avere di più. Quanto, sarà deciso in base al risultato di questo mercanteggiamento. Ma questo non cambia la questione fiscale.

In sostanza, una regione che oggi paga mille e riceve settecento euro, potrà ottenere 900 euro, ma in tal caso ne pagherà 1.200, in sostanza il residuo fiscale resterà sempre di 300 euro. Agli elettori, invece, è stato fatto credere esattamente il contrario. Non solo, in questo caso le regioni “virtuose” del nord si comporterebbero come quelle “viziose” del sud, aumentando le ricorse distribuite dal centro, non il grado di autonomia “federale”.

Un paradosso, ma la realtà è che i referendum sono stati due bolle piene di balle. La situazione non cambia nemmeno se passa il rilancio di Matteo Salvini, cioè se tutte le regioni fanno lo stesso. Aumentando le competenze nei servizi aumenterebbe quel che le regioni ricevono non quel che danno. Qui l’effetto sarebbe ancor più perverso per i nordisti, perché il sud riceverebbe ancor più pagando ancor meno allo stato centrale.

Ma allora è stato tutto un bluff esclusivamente politico, una costosa prova di forza per misurare gli equilibri interni alla Lega? O magari una sorta di sondaggio sul livello raggiunto dalla “questione settentrionale”? Può darsi e non sarebbe certo un buon uso del danaro pubblico. Con il risultato di chiarire che il consenso della Lega a Milano è bassissimo, che la capitale economica del Paese non è caduta nel trabocchetto e attraverso i suoi centri nervosi non passa nessuna pulsione catalana. Dunque, è stata fotografata una divisione all’interno degli stessi divisori. Divisione tra Milano e il resto della Lombardia per non parlare del Veneto.

Tutto ciò non per sottovalutare la portata del segnale arrivato dalle urne. Possiamo dire che esiste una “questione veneta” o meglio esisteva già ed è venuta chiaramente alla luce che ha una sua rilevanza anche storica che risale alla Serenissima, indipendente per mille anni, alla sua cultura, al suo idioma considerato una lingua non un dialetto, persino alla sua proiezione geopolitica verso l’est. Insomma, problemi seri che possono far montare una sindrome catalana se non vengono affrontati seriamente o se vengono cavalcati in modo strumentale.

Altra storia è “trattenere i nove decimi delle tasse” che chiama in causa il federalismo fiscale, architrave di una riforma federale dell’intero assetto istituzionale italiano. Cosa possibile e magari auspicabile da molti, tra i quali Franco Bassanini che non è certo un leghista. Ma frutto di una nuova grande riforma dello Stato con ricadute anche costituzionali. Bene che vada ci vuole tutta la prossima legislatura. Che vogliamo fare, proporre un altro referendum? Può darsi che Zaja aspiri a fare il capo del centro-destra, in questo caso sembra voglia mettersi la maschera di Matteo Renzi. Anche se è un po’ presto per il carnevale di Venezia.

Stefano Cingolani

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Cosa dice la Costituzione

Articolo 116

Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.

Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.


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