Il trumpismo in economia internazionale? Si fa, ma non si dice. Sembra questo il motto europeo delle ultime settimane, almeno a giudicare da alcuni avvenimenti poco trattati dalla stampa mainstream italiana e sui quali glissano i cantori dell’“apertura” in chiave anti Trump, o forse – ormai il dubbio è legittimo – in chaive propriamente anti americana. Avvenimenti che però confermano il tentativo in corso, di una parte dell’establishment europeo, di ristabilire un qualche equilibrio nei rapporti economici con la Cina.
LA FAIDA DENTRO IL COLOSSO DEUTSCHE BANK
Si parte da Deutsche Bank, il colosso tedesco del credito e della finanza. Dove, come ha ricostruito con dovizia di dettagli il Wall Street Journal, si è aperta una faida ai vertici della banca in ragione dell’atteggiamento da tenere nei confronti della Cina. O, più precisamente, nei confronti di HNA, azionista cinese del gruppo, che dalla metà dello scorso febbraio a oggi ha raggranellato quasi il 10% delle azioni della società. Lo ha fatto sul mercato, limitando per quanto possibile il controllo di Deutsche Bank su questo processo, ma col favore del presidente del gruppo tedesco Paul Achleitner. Adesso però l’ad John Cryan, inglese catapultato a Francoforte per dirigere la più grande banca della più forte economia dell’Eurozona, con gli azionisti cinesi non vuole nemmeno parlare. Al punto di non presentarsi alle cene riservate e preparate con cura dagli altri azionisti che provano a ricoprire il ruolo di pacieri. Qualche spiegazione la offre il Wall Street Journal: “HNA ha attirato su di sé un certo livello di attenzione e di sospetto non solo per la presenza in Deutsche Bank. I regolatori tedeschi ed europei stanno esaminando la società, le sue fonti di finanziamento e le sue quote in Deutsche Bank, con un approfondimento sull’influenza che HNA potrebbe avere sulla banca in quanto primo azionista. La società deve fronteggiare un numero crescente di domande sulla sua proprietà e sui suoi potenziali legami con il governo cinese, proprio nel momento in cui ha rafforzato la sua campagna di investimenti internazionali. (…) HNA utilizza dei derivati per limitare le perdite e i guadagni sulla sua quota in Deutsche Bank. Cryan ritiene che la struttura utilizzata da HNA per investire nell’istituto di credito sia speculativa, dice – secondo fonti vicine alla banca – che tale struttura crea rischi per la banca e per gli investitori”.
PECHINO SOTTO LA LENTE DELLE ISTITUZIONI UE
Spostiamoci ora fra Bruxelles e Strasburgo. Anche nelle sedi ufficiali delle istituzioni europee certi investitori cinesi iniziano a essere guardati in cagnesco. Martedì 3 ottobre, infatti, Parlamento dell’Unione europea, Commissione e Consiglio hanno trovato un accordo di compromesso sulle nuove regole antidumping. Cos’è il dumping? Nel linguaggio degli economisti, con questo termine si fa riferimento alla “vendita all’estero di una merce a prezzi inferiori a quelli praticati sul mercato interno”. Chi pratica il dumping? I paesi che mettono in atto discriminazioni di prezzo per conquistare quote di mercato in Europa sono tanti, ma la Cina è sicuramente l’indiziato principale. Secondo il Sole 24 Ore, quotidiano della Confindustria, sono attualmente 86 le misure in vigore nell’Unione europea per contrastare dumping e sussidi, e sul totale 63 di questi dazi difensivi sono applicati nei confronti di Pechino. Le nuove regole si sono rese necessarie perché, in base agli accordi stipulati nel 2001 quando la Cina entrò nell’Organizzazione mondiale del Commercio (WTO), alla fine del 2016 il paese asiatico sarebbe dovuto essere equiparato a una “economia di mercato”, e dunque liberato da una serie di controlli più occhiuti che l’occidente ha avuto finora il diritto di praticare nei suoi confronti.
IL FUNZIONAMENTO DELLE NUOVE REGOLE ANTI DUMPING
Per evitare una sorta di tana libera tutti che avrebbe potuto mettere in ginocchio alcuni settori industriali del Vecchio continente, ecco dunque che le nuove regole europee sul dumping non distinguono tra “economie di mercato” e non. Come funzionano, lo spiega il Sole 24 Ore: “Secondo le nuove norme, la Commissione determinerà i dazi anti dumping (e quindi la metodologia da adottare) solo sulla base del fatto che un paese abbia ‘significative distorsioni’ nei propri prezzi d’ingresso, tali da giustificare l’utilizzo di prezzi tratti da altri paesi terzi per calcolare il margine di dumping. Per farlo, la Commissione pubblicherà una serie di rapporti specifici sui diversi settori economici o su paesi per mettere in luce tali distorsioni. Si introduce, quindi, l’uso di costi e prezzi di produzione dei paesi terzi per determinare se c’è il dumping quando questi sono estremamente distorti, e si utilizzeranno quelli ‘domestici’ solo se questi intendono fissare un tetto ‘positivo’ sotto cui non si può scendere. Vanno inoltre considerate le distorsioni sia dirette sia indirette. Sia le distorsioni di prezzi e costi, specifiche del settore, sia quelle sotto forma di sussidio agli investimenti, alla ricerca e ai costi di produzione. Infine, nella valutazione delle distorsioni, la Commissione Ue – come aveva chiesto l’Europarlamento – dovrà anche tenere più genericamente conto del rispetto dei criteri ambientali e dei diritti del lavoro in linea con gli standard dell’Organizzazione internazionale del lavoro”. Infine le associazioni di categoria europee sono riuscite a evitare che l’onere della prova del dumping fosse a carico esclusivo delle imprese colpite.
“FREE” MA ANCHE “FAIR”, LE PAROLE D’ORDINE TRUMPIANE
Si tratta di norme e regole che sarà possibile valutare meglio soltanto nelle prossime settimane (di promulgazione) e nei prossimi mesi (di applicazione), ma che le autorità di Bruxelles fin da ora celebrano come la dimostrazione che l’Unione europea si batte per un commercio internazionale che non sia soltanto “open”, cioè “aperto”, ma anche “fair”, cioè “giusto”. Commercio “più aperto ma anche più giusto”. Dov’è che avevamo già sentito proprio questa formula retorica? Ah, pofferbacco, nel programma di Trump sull’economia e sul commercio internazionale.