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Come e perché Verbania vuole traslocare in Lombardia

Roberto Maroni e Luca Zaia

Nel turbolento nord che reclama l’autonomia qualcosa si muove, e nei prossimi anni c’è la possibilità che si assista a un rimescolamento di carte che potrebbe ridisegnare non solo i rapporti fra le Regioni e lo Stato, ma anche la stessa cartina geografica. Infatti non ci sono solo il Veneto e la Lombardia a chiedere, a suon di referendum, meno vincoli da Roma: ora il Verbano Cusio Ossola e il Novarese accarezzano l’idea di piantare in asso il Piemonte e accasarsi con la più ricca Lombardia.

L’ipotesi, va detto, ritorna ciclicamente almeno a partire dal 2012, quando a farsi portavoce della “secessione” era stato Diego Sozzani, il presidente della Provincia di Novara. E poi ancora nel 2014, con Alberto Preioni, vicepresidente della Provincia del Verbano-Cusio-Ossola. Non se n’era fatto nulla, ma le aspirazioni “lumbard” della punta del Piemonte non si sono del tutto sopite. Anzi, i recenti sviluppi autonomisti di Lombardia e Veneto hanno ringalluzzito le velleità di chi ritiene di non aver molto da spartire con Torino.

QUESTIONE DI DIALETTI

Le ragioni addotte da costoro sono storiche, culturali ed economiche. Fra Verbania e Novara la parlata è più lombarda che piemontese, anche perché fino a un paio di secoli fa quell’area era parte del Lombardo-Veneto. Inoltre, Torino è lontana fisicamente e mal collegata, mentre a Milano si arriva in tre quarti d’ora. Ma soprattutto ci sono ragioni economiche. La Lombardia concede alla provincia di Sondrio, simile per conformazione a Verbania, agevolazioni superiori a quelle piemontesi. Un esempio? I canoni idrici: nel Vco vorrebbero 18 milioni, ma il Piemonte li nega. Poi ci sono l’addizionale Irpef lombarda (più bassa in Lombardia) e le agevolazioni sulla benzina per le zone frontaliere, inferiori in Piemonte rispetto ai “vicini”.

Le ispirazioni “secessioniste” valgono soprattutto per il Vco, perché il novarese, almeno in questa fase, appare più scettico. Peraltro, la Provincia di Verbania finanziariamente è mal messa, e sul bilancio pesano come un macigno i costi per la manutenzione delle strade, che in un’area montuosa incidono moltissimo.

LA POLITICA CAVALCA LA TIGRE

Quanto basta perché un significativo pezzo della politica torni a cavalcare il tema. In pole position ci sono, prima ancora che la Lega, Forza Italia e i fittiani. I volti della battaglia sono quelli dell’ex senatore forzista Valter Zanetta e del consigliere comunale torinese Roberto Rosso, attualmente accasato con Direzione Italia. La strategia passa per un referendum, per cui si stanno raccogliendo le firme: ne servono cinquemila e c’è tempo a metterle insieme fino a 16 febbraio 2018. Ma siamo già a più di tremila, quindi i promotori sperano di chiudere entro Natale.

MARONI ACCOGLIE I SECESSIONISTI

Poche settimane fa una delegazione ha incontrato un Roberto Maroni (nella foto con Luca Zaia) che si è dimostrato molto accogliente. Un comportamento che è stato interpretato più come uno sgarbo dell’inquilino del Pirellone al collega Sergio Chiamparino che come un reale segnale di interesse, anche se non si può mai dire. Dal punto di vista produttivo, il “gioiello” con cui si punta è la sponda ovest del Lago Maggiore, che passando armi e bagagli alla Lombardia porterebbe in dote un patrimonio turistico non indifferente.

È presto, però, per dire se l’operazione andrà in porto. Per fare il referendum vanno trovate alcune centinaia di migliaia di euro – dopodiché occorrerà raggiungere il quorum, fissato al 40%. A quel punto, in teoria, bisognerà modificare i confini regionali, con una legge che può fare soltanto il Parlamento, una volta recepito il parere delle due Regioni.



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