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Come il barocco vedeva i rapporti tra potere e giustizia

Sta per arrivare nella città della Torre Pendente “Il Girello”, una produzione del Teatro Verdi di Pisa, in collaborazione con Associazione Teatrale Pistoiese e con il sostegno di Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia. Protagonista la Compagnia Marionettistica Carlo Colla & Figli – già ospitata con successo al Teatro Manzoni nell’edizione di due anni fa di “Infanzia e città” – e l’orchestra Auser Musici diretta da Carlo Ipata. Quella de “Il Girello” è una vera e propria parodia del potere e del suo utilizzo, dove i vari registri del dramma e della commedia dell’arte si mescolano con travestimenti e magie. Esempio divertentissimo di teatro musicale scaturito dalla penna del compositore pistoiese Jacopo Melani (1623 – 1676), il quale, insieme con i fratelli Atto e Alessandro, fu protagonista di una formidabile stagione musicale intessuta di trame politiche e sociali che animò l’Europa di fine del Seicento. Questo nuovo allestimento ripropone una versione documentata dell’opera, fatta a Venezia per il carnevale del 1682 [“… con fantoccini…”], nell’ottica di una ripresa filologica e storicamente informata.

Nella messinscena, i personaggi comici vestiranno i panni delle “maschere” della Commedia dell’Arte, divenute il punto di riferimento per trasportare sulla scena Girello, Pasquella, Ormondo e Filone, anticipando, così, quello che diventerà in seguito il Teatro di Carlo Gozzi. Intorno a loro si muove il mondo aulico d’epoca barocca che travalica la vicenda e l’ambientazione. Di sapore classico, invece, è stata la scelta degli ambienti tali da suggerire la città di Tebe indicata nell’opera in una visione assolutamente legata alla veridicità e al fasto delle scenografie dell’epoca. Girello, povero giardiniere, è esposto a varie forme di vessazione dai personaggi nobili presso cui è a servizio (Filone e Ormondo). Grazie a uno stratagemma magico, riesce a rovesciare la sua situazione vestendo improvvisamente i panni regali e trovandosi nella possibilità di impartire ordini e di imprigionare chi prima lo bastonava e disonorava la moglie (Pasquella). La storia si dipana fra colpi di scena e vere e proprie situazioni da commedia dell’arte, grazie anche alla forte caratterizzazione di alcuni personaggi come Tartaglia, il balbuziente guardiano delle prigioni reali. Gli intrecci amorosi delle due coppie Mustafà/Doralba Odoardo/Erminda si contrappongono alle scene drammaturgicamente d’azione, in una alternanza di registri sapientemente mescolati da Acciaiuoli e magistralmente musicati da Melani.

Il barocco dell’epoca ci mostra anche come veniva visto e percepito il diritto romano in età barocca, dalla parte più colta della popolazione ? A metà Ottocento, si pensava che, nonostante qualche ‘sbavatura’ (ad esempio, l’uso delle tortura), un secolo prima i princìpi del diritto romano fossero già metabolizzati dai ceti colti. Lo mostrano diverse pagine de “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni.

Ebbene, la prima pubblicazione di un lavoro in parte giudiziario del ‘Poeta Cesareo’ (titolo che aveva alla Corte di Vienna da dove diffuse l’italiano come lingua di Re e Principi) dimostra che non è proprio così. Si tratta di Catone in Unica, una ‘tragedia per musica’ in tre atti. Il lavoro piacque tanto che  tra il 1729 ed il 1791,è stato messo in musica da ben 26 compositori, tra cui Leonardo Leo, Johann Adolf Hasse, Giovanni Maria Marchi, Pietro Torri, Geminiano Giacomelli, Antonio Vivaldi, Egidio Romualdo Duni, Rinaldo di Capua, Giovanni Verocai, Carl Heinrich Graun, Gaetano Latilla, Nicola Jommelli, Giovanni Ferandini, Francesco Poncini, Vincenzo Legrenzio Ciampi, Florian Leopold Gassmann, Johann Christian Bach, Gian Francesco de Majo, Nicola Piccinni, Nicola Porpora, Bernardo Ottani, Francesco Antonelli, Gaetano Andreozzi, Giovanni Paisiello e Peter Winter.

Nelle varie versioni “Catone in Utica” venne rappresentato con successo in tutta Europa anche in anni in cui, con l’illuminismo, si cominciava a discutere di ‘giusto processo. E soprattutto, Georg Friedrich Händel ne fece un pastiche (così si chiamavano anche allora ), mantenendo integrale il testo metastasiano e prendendo nove numeri musicale da Leo, 6 da Hasse, 4 da Porpora, 3 da Vivaldi una da Vinci, tutte provenienti da opere relativamente recenti (1729-1732) con l’eccezione della versione di Vivaldi che risale al 1727, Gli autori di un paio di arie – che debuttò con grande successo a Londra nel 1732 – non sono stati identificati. Può essere che siamo state composte direttamente da Händel medesimo. I pastiche stanno tornando di moda: in questi ultimi anni, uno degli spettacoli di maggior successo al Metropolitan Opera di New York è The Echanted Island scritto da Jeremy Sams utilizzando musiche di Händel, Vivaldi e Rameau con un libretto tratto da “The Tempest” di Shakespeare.

Gli interpreti che Händel aveva a propria disposizione erano una garanzia, il castrato Senesini (Catone), il soprano Anna Maria Strada (Marzia, sua figlia ed amante ‘occulta’ di Cesare), il soprano Celeste Gismondi (Emilia, vedova di Pompeo), il contralto Francesca Bertolli (Arbace principe di Numidia, amico di Catone ed innamorato di Marzia) ed il basso Antonio Montagnana (Cesare anche lui innamorato di Marzia).

Dopo secoli, Catone in Utica è stato ripescato da Auser Musici, un ensemble, specializzato in musica barocca con sede a Pisa (si deve a loro anche la riesumazione di Didone Abbandonata di Leonardo Leo, lo spettacolo che la scorsa stagione lirica ha avuto maggior successo di critica e di pubblico a Firenze), È stato eseguito a Opera Barga in forma scenica, un piccolo teatro in un comune di meno di diecimila abitanti appollaiato in Garfagnana, ed ad Halle in Germania in forma di concerto. A ragione delle migliori condizioni acustiche è stata registrato a Halle ed il pertinente CD è in vendita da qualche settimana. Cantano Sonia Prina (Catone), Riccardo Novaro (Cesare), Roberta Invernizzi (Emilia), Kristina Hammaström (Arbace), Lucia Cirillo (Marzia). Suonano gli Auser Musici, concertati da Carlo Ipata. Un ascolto godibilissimo anche perché scoprire gli autori delle singole arie diventa un gioco per chi conosce la musica barocca.

Ma andiamo alla trama del “Poeta Cesario” Metastasio. Dopo la battaglia di Farsao (48  Avanti Cristo), Catone, il quale nella guerra civile romana si era schierato per Pompeo, si rifugia da Arbace (principe di Numidia , in buoni rapporti con Cesare e desideroso di impalmare Marzia e diventare così ‘cittadino romano). Da Roma, il Senato invia una lettera a Catone perché si arrenda a Cesare e termini, così, la guerra civile. Si pensi che in quegli anni (1734) Metastasio stava scrivendo La Clemenza di Tito (di cui si rappresenta spesso la versione messa in musica da Mozart nel 1791 in occasione dei festeggiamenti per l’incoronazione di Leopoldo II a Re di Boemia); ne La Clemenza di Tito si svolge un vero e proprio processo ai congiurati (che avevano orchestrato un tranello per fare fuori, anche fisicamente, l’Imperatore) ma, con una atto di ‘grazia’, vengono assolti tutti.

In “Catone ad Utica”, invece, Arbace e lo stesso Cesare vorrebbero trovare una via d’uscita ma sono proprio Catone (Mi conosci! Sai chi sono!) e sua figlia Marzia (Vaghe Luci! Luci Belle!) ad impedire che si tenga un dibattimento. Il lavoro termina , in tutte le 27 versioni messe in musica, con la morte del protagonista.

Oltre agli indubbi meriti musicali di poter ascoltare il pastiche “Catone in Utica” di Händel, il confronto con “La Clemenza di Tito” è interessante in termini di analisi dell’evoluzione della società giuridica. Alcuni anni fa nello studio Mozart Massone e Rivoluzionario , Livia Bramani dedico un lungo capitolo all’evoluzione della massoneria ‘cattolica’ nell’Impero Austriaco e nel Regno di Baviera, sottolineandone i nessi con l’illuminismo e lo sviluppo di una ‘giustizia più giusta’. Clemenza venne messa in musica da una quarantina di compositori, in gran parte del Nord Italia (dove fiorivano i primi circoli di illuministi settentrionali) , dell’Austria e della Baviera, mentre Catone fu opera prediletta di compositori romani, pugliesi, napoletani e veneziani – ossia di aree dove l’illuminismo non aveva messo piede.


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