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Dai “Bin Laden files” nuove prove della collaborazione Iran-al Qaeda

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La guerra fredda tra i due principali rivali regionali in Medio Oriente, la sunnita Arabia Saudita e l’Iran sciita si sta rapidamente scaldando e la tensione ha già raggiunto i livelli di guardia.

Qualche giorno fa il lancio di un missile balistico da parte dei ribelli yemeniti Houthi (sciiti) verso Riad, considerato “un atto di guerra” dai sauditi, che hanno subito denunciato la provenienza iraniana del razzo.

Sul fronte siriano, l’Iran consolida la sua presenza militare nel paese e le milizie filo-iraniane muovono passi importanti verso la realizzazione di quel corridoio terrestre tra Teheran e Beirut (passando per Iraq e Siria) così strategico per i rifornimenti diretti a Hezbollah in Libano.

La sensazione però è che l’espansionismo iraniano nella regione – da una parte approfittando del vuoto lasciato dall’amministrazione Obama e della guerra in Siria, dall’altra della guerra civile nello Yemen, per minacciare da vicino Riad – sia ormai arrivato a lambire le “linee rosse” dei suoi rivali, Israele e Arabia Saudita, quindi ad un punto tale da suscitarne reazioni e contromosse.

Sempre più frequenti sulla Siria i raid aerei di Israele, che non può accettare una presenza militare iraniana permanente ai suoi confini, né il corridoio terrestre che permetterebbe a Teheran di rifornire più facilmente di armi e missili Hezbollah.

Ma l’Arabia Saudita, forte del rinnovato sostegno di Washington in funzione anti-iraniana, sta giocando se possibile ancora più duro. Come avevamo anticipato su Formiche.net già nel luglio scorso, il nuovo corso saudita è caratterizzato da un attivismo senza precedenti, sia sul fronte interno (le riforme economiche e sociali, nonché la purga anti-corruzione volta a rafforzare la presa sul Regno del principe ereditario Mohammed bin Salman) sia sul fronte estero (l’isolamento del Qatar, il blitz su Hariri in Libano). Il premier libanese Saad Hariri, sunnita, è stato convocato a Riad e spinto ad annunciare dalla capitale saudita le sue dimissioni denunciando le interferenze iraniane, attraverso Hezbollah, nella politica libanese. Un modo per anticipare le mosse e denunciare i piani di Teheran, che assicurate le sue posizioni in Siria si prepara a destabilizzare ancora una volta il piccolo Libano e presumibilmente anche ad usarlo per lanciare il secondo tempo della guerra del 2006 contro Israele.

In questa situazione già altamente infiammabile si inserisce da Washington un nuovo elemento. Le nuove prove della collaborazione Iran-al Qaeda rafforzano l’accusa rivolta dagli Stati Uniti al regime iraniano di essere il principale sponsor del terrorismo al mondo.

Nel recente discorso in cui ha dichiarato che l’accordo sul programma nucleare iraniano non è negli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, il presidente Trump ha fatto riferimento alle connessioni tra il regime degli ayatollah e al Qaeda, citando in particolare l’addestramento ricevuto dagli operativi qaedisti coinvolti negli attentati del 1998 alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania e all’ospitalità concessa da Teheran ad alcuni esponenti di alto livello di al Qaeda, compreso il figlio di Bin Laden, all’indomani degli attacchi dell’11 settembre 2001. Le sue accuse hanno ovviamente suscitato l’ironia di molti osservatori e sono state per lo più archiviate come ulteriori esempi dell’impreparazione e della tendenza all’esagerazione del presidente.

Non da oggi l’ipotesi dell’Iran partner di al Qaeda viene snobbata e ridicolizzata dai cosiddetti “esperti”, per la sola ragione che il movimento fondato da Bin Laden è sunnita, mentre l’Iran degli ayatollah è sciita e tutti conosciamo il profondo conflitto tra queste due versioni dell’islam, alla base anche della rivalità tra Iran e Arabia Saudita. Ma questa si è rivelata essere una lettura molto semplicistica del modus operandi di tutti gli attori in Medio Oriente. In realtà, le cose sono molto più complicate e nei rapporti tra il regime iraniano e al Qaeda sembra aver prevalso la logica secondo cui “il nemico del mio nemico è mio amico”.

Nei giorni scorsi la CIA ha declassificato e rilasciato centinaia di migliaia di documenti raccolti durante il raid del 2011 in cui fu stanato e ucciso Osama Bin Laden. Documenti che indicano come Iran e al Qaeda avessero, e presumibilmente ancora abbiano, un accordo non solo di non aggressione ma anche di collaborazione nel colpire il nemico comune: gli Stati Uniti d’America, il “Grande Satana”. In uno di questi documenti lo stesso Bin Laden definisce l’Iran la “principale arteria” per il “movimento di fondi e uomini e per le comunicazioni”.

L’amministrazione Obama aveva già declassificato e rilasciato alcuni dei “Bin Laden files” che evidenziavano piuttosto la rivalità e le tensioni tra Iran e al Qaeda, mantenendo invece classificati tutti quelli che potessero avvalorare l’ipotesi di una cooperazione. Si tratta di un altro esempio dell’estrema politicizzazione e uso politico dell’intelligence da parte della presidenza Obama. Qualsiasi cosa pur di spianare la strada all’accordo sul programma nucleare iraniano. E certo rivelare che l’Iran aveva aiutato al Qaeda sia prima che dopo l’11 settembre, e probabilmente la stava ancora aiutando, non avrebbe ben disposto l’opinione pubblica americana nei confronti dell’intesa con Teheran. Tra i membri dell’amministrazione Obama più frustrati da questa politica di declassificazione, l’allora direttore della Defense Intelligence Agency Michael Flynn – che sarebbe poi divenuto uno dei principali ispiratori della politica estera di Donald Trump durante la campagna elettorale e, dopo l’insediamento, suo consigliere per la sicurezza nazionale, ruolo che però è stato costretto ad abbandonare dopo pochi giorni a causa delle accuse del Russiagate. Nel suo libro The Field of Fight (scritto insieme a Michael Ledeen), citando proprio i “Bin Laden files” Flynn ha parlato di abbondanti prove della cooperazione tra al Qaeda e Iran contro gli Stati Uniti. La pubblicazione di questi nuovi documenti gli rende in qualche misura giustizia. Ma Michael Ledeen e altri hanno sostenuto in tempi non sospetti, da molto prima della guerra contro Saddam Hussein, che bisognava guardare a Teheran per il suo sostegno al terrorismo islamico in ogni variante, sia quella sciita degli Hezbollah che appunto quella sunnita di al Qaeda.

Secondo Thomas Joscelyn e Bill Roggio, fondatori e direttori del Long War Journal, i nuovi documenti appena declassificati mostrano due rivali diffidenti l’uno dell’altro ma anche desiderosi di cooperare per infliggere i maggiori danni possibili agli Stati Uniti. In particolare, in questi giorni la loro attenzione è su un documento di 19 pagine, probabilmente risalente al 2007, in cui un operativo senior di al Qaeda descrive questa insana relazione fin dal suo inizio, ovvero già sul finire degli anni ‘90. L’Iran ha offerto ai “fratelli sauditi” membri di al Qaeda “tutto ciò di cui avevano bisogno”, compresi “denaro, armi e addestramento nei cambi di Hezbollah in Libano, in cambio di attacchi agli interessi americani in Arabia Saudita e nel Golfo”. L’intelligence iraniana ha facilitato i viaggi degli operativi qaedisti fornendo visti ad alcuni e protezione ad altri. Dallo stesso documento emerge che un ideologo di al Qaeda, noto come Abu Hafs al Mauritani, ha negoziato con Teheran un accordo per garantire ad alcuni operativi del gruppo un rifugio sicuro in Iran dopo la caduta dei Talebani in Afghanistan. La maggior parte della leadership di al Qaeda trovò riparo in Pakistan, ma mogli e figli di Bin Laden e dei suoi vice si trasferirono in Iran, insieme a una manciata di altri terroristi. Tra i membri della famiglia Bin Laden nascosti in territorio iraniano dalla fine del 2001, il figlio Hamza Bin Laden, che oggi fa parte della nuova generazione di leader di al Qaeda. Un video rilasciato nei giorni scorsi dalla CIA mostra Hamza, ormai giovane adulto, durante il suo matrimonio celebrato proprio in Iran circa dieci anni fa.

Come spesso capita tra criminali, i rapporti a volte si sono fatti difficili. I membri della famiglia Bin Laden, compreso Hamza, sono stati agli arresti in Iran per un certo periodo, e al Qaeda sequestrò un diplomatico iraniano per ottenere il loro rilascio. Nel 2003, per esempio, l’Iran ha pensato di “vendere” alcuni operativi di al Qaeda agli americani in cambio di alcuni miliziani anti-iraniani sostenuti da Baghdad. Ma non se ne fece nulla e la collaborazione tra Iran e al Qaeda arriva probabilmente ai nostri giorni. Tra Iran e al Qaeda “ci sono differenze”, scrive l’autore di questo memo di 19 pagine, ma “i loro interessi si incontrano” quando si tratta di essere “nemici dell’America”.

Un altro documento interessante, citato da Thomas Joscelyn sul Weekly Standard, è un file audio e riguarda la guerra in Iraq. Un jihadista di nome Abu Muhammad aggiorna Bin Laden sulla figura di Abu Musab al Zarqawi, il sanguinario terrorista che giurò pubblicamente fedeltà a Bin Laden nel 2004. Zarqawi fuggì dall’Afghanistan in Iraq attraverso l’Iran. Arrivò a Baghdad molto prima della guerra, secondo il resoconto di Abu Muhammad, da dove costruì un network che si sarebbe esteso alla Siria e alla Giordania. Quando nel marzo del 2003 gli americani iniziarono l’invasione dell’Iraq, temendo per la sua sicurezza Zarqawi lasciò il paese per il vicino Iran. Gli iraniani lo trattennero ma solo temporaneamente. Gli dissero che avrebbe potuto scegliere tra diverse destinazioni (Pakistan, Malesia, Indonesia e Turchia). Ma “fratello al Zarqawi – racconta Abu Muhammad – rifiutò questi paesi e chiese di essere rimandato in Iraq”. Con gran sorpresa degli iraniani, che si chiedevano perché volesse gettarsi in quella mischia. Ma Zarqawi chiese con insistenza di poter andare in Iraq e gli iraniani lo lasciarono andare, sempre secondo il resoconto di tale Abu Muhammad a Bin Laden. E in Iraq diede vita a quel ramo così sanguinario di al Qaeda che come sappiamo imperversò per anni nel paese. L’Iran ha dunque svolto un ruolo, logistico e operativo, nella guerriglia terroristica in Afghanistan e Iraq.

Come dicevamo, su spinta dell’amministrazione Trump nei giorni scorsi la CIA ha rilasciato migliaia di documenti trovati nel covo di Bin Laden ad Abbottabad, in Pakistan, senza traduzioni né analisi. Nei prossimi giorni e settimane analisti ed esperti non governativi potranno valutare da sé la natura e l’entità della cooperazione Iran-al Qaeda, ma da ciò che è già emerso si può parlare di una relazione molto più complessa di quanto i cosiddetti “esperti” siano disposti ad ammettere. Non propriamente alleati, forse, ma nemmeno nemici. Al Qaeda non sarebbe stata ciò che è stata, e non sarebbe ciò che è, senza il sostegno di alcuni stati, e tra questi c’è senz’altro l’Iran.

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