E adesso c’è anche il fondo comune che investe in bitcoin. Lo ha lanciato Tobam, una piccola società parigina di asset management che gestisce poco meno di 10 miliardi di euro. Il fondatore e ceo Yves Choueifaty ha dichiarato di aver richiesto l’approvazione dell’autorità finanziaria francese, l’Autorité des Marchés Financiers (Amf), per il lancio del fondo, il primo in Europa dedicato al bitcoin. “Ho dovuto convincere l’Amf che la struttura del fondo è una protezione per gli investitori”, ha spiegato Choueifaty, sottolineando che “questa prima mossa nel mondo delle criptovalute testimonia il nostro impegno di restare all’avanguardia e a fornire ai nostri clienti prodotti innovativi nel contesto di mercati efficienti, cioè imprevedibili”. Il ceo ha aggiunto che sarebbe molto deluso se nei prossimi due o tre anni il fondo non riuscisse a raccogliere più di 400 milioni di euro. PwC è il revisore dei conti del fondo e Caceis (Crédit Agricole) ne è il custode.
Come si vede l’economia e la finanza tradizionale non disdegnano di lavorare a un progetto dedicato alle criptovalute. Sempre giovedì è scesa in campo anche Swissquote Bank, che ha lanciato un certificato bitcoin per limitare l’esposizione dei suoi clienti alla volatilità della criptovaluta. Questo si otterrà variando la percentuale di bitcoin e dollari in portafoglio (la quota della valuta statunitense varierà dallo 0 al 40%), il tutto basandosi su un algoritmo che utilizzerà segnali tecnici e il sentiment espresso sui social media per cercare di prevedere i movimenti del mercato. “Gli investitori sono eccitati dalla criptovaluta ma anche innervositi dalla loro volatilità”, ha osservato Peter Rosenstreich, capo delle strategie di mercato di Swissquote, “così abbiamo cercato di costruire un algoritmo in grado di proteggere dai rischi al ribasso”.
Nel frattempo cresce l’entusiasmo per il prossimo lancio del future sul bitcoin da parte del Cme di Chicago, il più grande mercato ondiale dei derivati. Secondo Kay Van-Petersen, strategist per le criptovalute di Saxo Bank, “aprirà le dighe del denaro degli investitori istituzionali”, spingendo il bitcoin sopra i 10 mila dollari entro la fine dell’anno (giovedì sera oscillava intorno agli 8.150 dollari) e addirittura a 100 mila dollari entro il giugno del 2019.
Quella di giovedì è stata però la giornata di ethereum, la seconda criptovaluta più scambiata al mondo, che ha toccato il nuovo record a 422,91 dollari con un rialzo dell’11%. Basandosi sull’analisi tecnica, qualche investitore ha osservato che la rottura della barriera dei 420 dollari spiana la strada a una corsa che porterà ethereum a 1.200 dollari. Altri sostengono che il record di giovedì sia stato propiziato dalle dichiarazioni di Choe Hueng-sik, capo del Servizio di supervisione finanziaria della Corea del Sud: “Non abbiamo in programma” di regolamentare il trading delle criptovalute, ha affermato, poiché l’agenzia non le considera “valute legittime”. Choe ha aggiunto che il governo di Seul ritiene che le criptovalute vengano usate per fare speculazione, non come strumenti di pagamento pertanto non sono un prodotto finanziario e il loro trading non è un servizio finanziario. Quindi non verranno regolate.
Poiché la Corea del Sud è il secondo mercato mondiale dell’ethereum, gli investitori hanno salutato con entusiasmo il fatto che le autorità locali non hanno intenzione di intervenire in questo campo. Giovedì sera la capitalizzazione del bitcoin ammontava a 136,4 miliardi di euro, quella dell’ethereum a 40,3 miliardi.
Pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi