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Bitcoin, ecco come investitori e analisti si dividono sulla criptovaluta

bitcoin

Il bitcoin «sta attraversando il confine che separa il selvaggio West dal mainstream». Così Charles Hayter, ceo del sito Crypto Compare, ha commentato la notizia che entro la fine dell’anno il Cme, il più grande mercato mondiale dei derivati, lancerà un future sulla criptovaluta. La decisione ha spinto molti investitori stuzzicati dai mega rialzi del bitcoin, ma che restavano alla finestra perché scettici sulla sua tenuta, a rompere finalmente gli indugi e a entrare nel grande gioco. La quotazione del bitcoin sì è così impennata.

L’annuncio è stato dato martedì 31 ottobre. All’inizio della giornata il bitcoin era quotato 6.094 dollari. Da quel momento è partito un rally (o meglio si è rafforzato quello già in atto) che il giorno successivo ha portato il bitcoin per la prima volta nella storia sopra i 7 mila dollari e a toccare l’ennesimo record venerdì 3 novembre a 7.454 dollari. Il tutto tenendo ben presente che il primo gennaio il bitcoin veniva scambiato a 997 dollari. Facile fare i conti di quanto abbia guadagnato da inizio anno.

Una volta sfondata quota 7 mila alcuni investitori di vecchia data, diciamo da 12 mesi, hanno deciso di non chiedere troppo agli dèi della finanza e si sono portati a casa il malloppo. Ma questi realizzi hanno provocato una caduta di brevissima durata perché sono subito entrati nuovi investitori. Giovedì 2 novembre Coinbase, uno degli exchange più grandi al mondo, ha registrato l’ingresso di 100 mila nuovi clienti, per un totale di 11,9 milioni. Si suppone che questo sia solo l’inizio.

Come ha osservato Hayter, «il lancio del future porterà il bitcoin e le altre criptovalute in un quadro regolamentato. Questo consentirà la creazione di prodotti finanziari più complessi e alla fine aprirà le porte agli investitori istituzionali». Ed è proprio questa la chiave di volta: l’arrivo degli investitori istituzionali. Non è possibile prevedere quanto denaro riverseranno sul bitcoin. Dopo gli ultimi rialzi la capitalizzazione delle criptovalute ha toccato i 200 miliardi di dollari, con il bitcoin a fare la parte del leone con 122 miliardi. La capitalizzazione del solo titolo Apple è di 900 miliardi. Facile capire che agli investitori istituzionali basteranno investimenti per loro trascurabili per aumentare in misura notevole il valore di mercato del bitcoin.

Sembrano passati secoli, ma era solo l’inizio di agosto quando il ceo di JP Morgan, Jamie Dimon, definì il bitcoin «una truffa», minacciando di licenziamento i suoi dipendenti che facessero trading con le criptovalute. Ma questi hanno continuato imperterriti a farlo spinti dalle richieste della clientela ricca. Certo, alcuni esponenti della finanza tradizionale continuano a esprimere il loro scetticismo: «Il bitcoin è la definizione stessa di bolla», ha sentenziato Tidjane Thiam, ceo di Credit Suisse.

Diverso l’atteggiamento di Lloyd Blankfein, ceo di Goldman Sachs. Pur ammettendo di non avervi ancora investito, ha dato il consiglio di «non prendere sotto gamba il bitcoin». Non solo, Blankfein ha aggiunto di poter immaginare un mondo in cui sia una forma di valuta. Per poi elaborare il concetto in questo modo: «Ho letto molti libri di storia e so che una volta una moneta valeva 5 dollari se era fatta da 5 dollari in oro. Adesso abbiamo carta sostenuta solo da fiat», ovvero dalla decisione di un’autorità, sia essa una banca centrale o un governo. «Forse nel nuovo mondo, sarà qualcosa che viene sostenuto dal consenso», è la conclusione di Blankfein. Che ha centrato il problema alla perfezione.

Di fronte alla sua ascesa apparentemente inarrestabile, i puristi dicono: non è il bitcoin che sale, è il dollaro che si sta svalutando. Bisogna sempre ricordare che il bitcoin è stato lanciato all’inizio del 2009, nel pieno della crisi finanziaria globale, quando non si sapeva se i massicci interventi delle banche centrali sarebbero riusciti a evitare il naufragio del sistema. Nel bel mezzo della tempesta ecco spuntare il bitcoin, che non dipende da un’autorità centrale ed è creato in quantità limitata (ce ne sono 21 milioni, non un’unità in più), un po’ sul modello dell’oro (di cui in realtà non si sa quanto ne sia rimasto sulla terra, in ogni momento la scoperta di un megagiacimento potrebbe abbatterne il prezzo).

Certo, la prima criptovaluta ha avuto inizi stentati e molto travagliati, a un certo punto sembrava solo un giochetto da nerd che, incapaci di combinare qualcosa con le ragazze, se ne stavano tutto il giorno davanti allo schermo del Pc. Ma i suoi creatori ovviamente non la pensavano così. Si arriva al 2017, il Giappone legalizza il bitcoin, ma soprattutto la fiducia nelle banche centrali è ancora incrinata. Continuano a essere immessi nel sistema miliardi su miliardi e non si riesce nemmeno a raggiungere l’obiettivo dichiarato di un’inflazione al 2%, figuriamoci quello di un’economia pimpante che cammini da sola senza bisogno di continue iniezioni di liquidità.

La situazione è stata riassunta da un report di Jim Reid, analista di Deutsche Bank , dal titolo inequivocabile È l’inizio della fine della valuta fiat?. «La definitiva rottura dei sistemi valutari basati sui metalli preziosi iniziata all’inizio degli anni 70 del secolo scorso», sostiene Reid, «con il passaggio alle valute fiat ha incoraggiato i deficit di bilancio, l’aumento dell’indebitamento, la creazione di enormi crediti, una politica monetaria ultralassista, l’incremento degli squilibri globali, la deregolamentazione finanziaria e ha reso i mercati più instabili».

Secondo Reid il sistema ha retto perché la globalizzazione ha reso possibile il calo dei salari, abbattendo così l’inflazione. Ma nel momento in cui i salari dovesse salire in misura sensibile (e per l’analista di Deutsche Bank ci sono segnali in questa direzione), allora si verificherebbe un ritorno dell’inflazione e le banche centrali sarebbero costrette ad accelerare il ritmo dei rialzi dei tassi d’interesse, facendo scoppiare le bolle da loro stessi alimentate. A quel punto il sistema basato sulle valute fiat rischierebbe davvero di crollare e bisognerebbe trovare alternative più sicure: le criptovalute. Chi concorda con questa analisi non può fare altro che comprare bitcoin.

(Articolo pubblicato su MF, il settimanale diretto da Pierluigi Magnaschi)


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