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Che cosa si sono detti Erdogan e Trump sui curdi?

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È giallo sulla telefonata tra Donald Trump e Recep Tayyip Erdogan, nella quale il presidente americano avrebbe fatto intendere al collega turco di essere pronto a scaricare i curdi siriani. Secondo il ministro degli esteri di Ankara Mevlut Cavusoglu, che sostiene di aver assistito alla chiamata tra i due leader, Trump avrebbe riferito ad Erdogan di aver ordinato ai generali americani e al suo consigliere per la Sicurezza Nazionale Herbert Raymond McMaster di cessare i rifornimenti militari alle milizie curde YPG: le stesse che, su mandato di Barack Obama prima e di Trump poi, hanno inferto allo Stato islamico le più dure sconfitte militari, battaglia di Raqqa inclusa.

Eppure, funzionari del Dipartimento di Stato e del ministero della Difesa americano sentiti dall’Associated Press si dicono all’oscuro di tutto. Dove sta la verità? Forse il capo della Casa Bianca ha preso una decisione repentina, senza consultarsi con i dicasteri incaricati di gestire la campagna militare contro lo Stato islamico, in nome di una distensione con il riottoso alleato della Nato? O forse, più probabilmente, Erdogan ha lanciato a mezzo stampa un avvertimento agli Stati Uniti, intimando loro di smetterla di armare una formazione che è legata a doppio filo con quel Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) che la Turchia – ma anche gli Stati Uniti e l’Unione Europea – considera terrorista?

A detta di Cavusoglu, il caso sarebbe chiuso. Secondo lui, Trump avrebbe dato “chiare istruzioni” ai suoi sottoposti. L’ordine sarebbe cristallino: “Nessuna arma sarebbe stata concessa” ai curdi di qui in poi. E “questo non senso avrebbe dovuto finire molto tempo fa”, aggiunge Cavusoglu, precisando che “eravamo molto contenti di questo”. La soddisfazione turca è piena. La questione curda ha minato i rapporti tra Turchia e Stati Uniti sin dal tempo in cui, Obama regnante, gli Stati Uniti decisero di “degradare e distruggere” lo Stato islamico con una strategia impegnata su due caposaldi: bombardamenti Usa da un lato, offensiva di terra dall’altro tramite quei “boots on the ground” già presenti sul campo – i curdi siriani – che l’allora presidente americano non intendeva mettere a disposizione.

Erdogan andò su tutte le furie. La scelta americana di appoggiare i curdi equivaleva per lui ad un indebito sostegno ad una causa irredentista che la Turchia ha combattuto per tre decenni. E nonostante il presidente turco avesse avviato un dialogo qualche anno fa con la popolazione curda, che fece sperare su una risoluzione dell’annosa controversia, nel 2015 – a ridosso dunque della decisione americana – le ostilità ripresero a tutto spiano, insieme alla repressione dei curdi turchi. Non pago di tutto ciò, Erdogan compì una vera e propria piroetta diplomatica, approfittando dell’intervento russo in Siria per saltare nel campo di Vladimir Putin. La Turchia oggi è parte del patto di Astana, siglato con la Russia e l’Iran: formato con cui le tre potenze si sono fatte carico della crisi siriana e stanno cercando una via d’uscita. Non è un caso che la telefonata tra Erdogan e Trump sia avvenuta due giorni dopo il trilaterale a Sochi tra il presidente turco, quello russo e quello iraniano Hassan Rouhani, nel quale è stato illustrato un piano di pace che, si presume, dovrebbe mettere la parola fine alla guerra civile scoppiata nel 2011.

Forte del summit di Sochi, convocato con l’intento di sancire la vittoria dell’asse Mosca-Ankara-Teheran contro le potenze sunnite che hanno militato nel campo anti-Assad, Erdogan si sentirebbe ora nelle condizioni di ricattare niente meno che Trump. Il quale, apparentemente, sta al gioco del suo collega. Dopo la famosa telefonata, la Casa Bianca ha emesso un comunicato che confermerebbe l’intesa tra i due. “Coerentemente con la nostra precedente politica”, si legge nell’annuncio, “il presidente Trump ha anche informato il presidente Erdogan di imminenti modifiche all’appoggio militare fornito ai nostri partner sul terreno in Siria, ora che la battaglia di Raqqa è completa e che stiamo registrando progressi nella fase di stabilizzazione finalizzata ad assicurare che l’Isis non possa ritornare”.

Eppure, stando all’Associated Press, né il segretario di Stato Rex Tillerson né il capo del Pentagono James Mattis sarebbero stati informati della decisione di Trump. Delle due l’una: o le decisioni allo Studio Ovale maturano in splendido isolamento; o qualcuno, tra Erdogan e Trump, sta imbrogliando l’altro.


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