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Vi racconto l’avanguardista Massimo D’Alema nel salotto tv di Lilli Gruber a Otto e Mezzo

gruber, MASSIMO D'ALEMA

La televisione targata UC, cioè Urbano Cairo, per quanto sculacciata ogni tanto da quelli del Foglio, che la trovano un po’ troppo grillina, mi ha regalato una bella serata, fra un Massimo D’Alema d’avanguardia, diciamo così, e un Eugenio Scalfari aristotelico, per quanto gli sarebbe bastato fermarsi a Benedetto Croce. Ma Scalfari, si sa, la prende sempre molto da lontano.

Il D’Alema d’avanguardia è quello che, ospite del salotto di Lilli Gruber, ha sorpassato tutti nel ridisegnare la geografia politica, compreso il tanto bistrattato Matteo Renzi perché, secondo lui, abusivamente definito di sinistra da Nicola Porro, presente nello studio.

Ispirato forse anche da questa contestazione, il povero Porro ha dato per scontato che la nuova formazione politica in decollo sulla pista elettorale, comprensiva degli scissionisti del Pd, di vendoliani, civatiani eccetera, avrebbe messo la sinistra nel suo nome. No, questa è una categoria ormai superata nei nostri tempi, gli ha praticamente risposto D’Alema, pur fingendo di sapere poco o nulla di quello che stanno combinando con la toponomastica o l’anagrafe i compagni impegnati a preparare la sala parto di domenica prossima all’Eur. Dove il nuovo partito appunto esordirà dopo tante assemblee di base, cui l’ex presidente del Consiglio sa che hanno partecipato più di quarantamila persone di varia provenienza.

Ho quindi improvvisamente scoperto un D’Alema più renziano di Renzi nella segnaletica della politica. D’altronde sono in buona e folta compagnia nel ritenere che i due si assomiglino molto, tanto da non potersi sopportare a vicenda. Eppure mi sembrano destinati a rincontrarsi, almeno fisicamente, nel nuovo Parlamento. E, più in particolare, al Senato. Che Renzi avrebbe voluto ridurre con la sua riforma costituzionale ad un’assemblea minore di consiglieri regionali e sindaci, ma anche curiosamente di senatori a vita, e D’Alema ha invece salvato nella sua vecchia e attuale forma partecipando in prima linea alla vittoriosa campagna referendaria del no.

Renzi ha già detto spavaldamente, proprio per sfidare la sconfitta subita, che vorrebbe candidarsi al Senato, anche se non sa più in quale collegio, dovendo capire bene dove e con chi gli converrà contrapporsi nella quota maggioritaria dei seggi. D’Alema ha parlato del suo possibile approdo al Senato -dove per lui sarebbe l’esordio, dopo una vita spesa alla Camera- in un inciso di un ragionamento riguardante il posto dove ha sempre vinto le sue gare elettorali personali e intende tornare a vincere: il Salento. I cui elettori di sinistra, o non so adesso come lui voglia chiamare, non vedrebbero l’ora di chiedergli, con le modalità prescritte dal suo nuovo partito, di candidarsi.

Passiamo ora allo Scalfari aristotelico, invitato da Giovanni Floris a spiegare, precisare e quant’altro la clamorosa preferenza, espressa nella stessa sede televisiva la settimana scorsa, a favore di Berlusconi in un eventuale gioco della torre, pur non previsto dalla nuova legge elettorale, col grillino Luigi Di Maio.

Poiché il fondatore di Repubblica ha orgogliosamente rifiutato un confronto diretto con Marco Travaglio, che sul suo Fatto Quotidiano, ma anche in quella stessa sede televisiva, gliene ha scritte e dette di tutti i colori, rinfacciandogli le numerose volte in cui il decano ormai del giornalismo politico italiano aveva liquidato Berlusconi come un campione della malavita, il buon Floris si è prestato a girargli la polemica.

Eugenio Scalfari, ribadendo in parte un intervento correttivo fatto a caldo su Repubblica, ha detto che non intende, per carità, smettere di votare Pd per passare a Forza Italia, ma solo accettare e sostenere un’eventuale intesa di governo fra Berlusconi e Renzi in funzione antigrillina nel nuovo Parlamento. E alla condizione – ha insistito – di una rottura di Berlusconi con Matteo Salvini.

Le vere o presunte malefatte di Berlusconi sono state invece liquidate da Scalfari con la dovuta separazione della politica dalla morale, teorizzata e insegnata da Aristotele ad Alessandro Magno. Che non era uno stinco di santo, avendo l’abitudine di penetrare non solo nei paesi altrui ma anche nelle loro regine, o imperatrici. E ciò Scalfari ha ricordato forse pensando di meglio lusingare Berlusconi, e al tempo stesso di indispettire maggiormente Travaglio, implacabile anche contro le vere o presunte abitudini sessuali dell’uomo di Arcore. Che, proprio qualche giorno fa, nel salotto televisivo di Fabio Fazio si è peraltro compiaciuto della conquistata o ritrovata “saggezza” di Scalfari.

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