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I debiti della sanità italiana

Il problema dei pagamenti al rallentatore della PA alle imprese rimane pregnante, nonostante l’introduzione della fattura elettronica abbia dato i suoi frutti: ammonta a 64 miliardi di euro il debito nei confronti delle imprese fornitrici, di cui quasi la metà fa capo alla Sanità italiana, con un debito complessivo di quasi 23 miliardi di euro.

Sebbene l’incidenza della nostra spesa sanitaria pubblica sul PIL sia inferiore che in altri Paesi – 1 p.p. in meno rispetto a quella francese e 0,5 p.p. rispetto a quella britannica – a fronte di una qualità del servizio reso, almeno in alcun aree del Paese, che non ha eguali in Europa, l’incapacità di alcune strutture sanitarie – in particolar modo le Asl, specie nel Mezzogiorno – di adempiere ai propri impegni economici mette in serie difficoltà non poche PMI.

Se in termini assoluti è la sanità laziale quella più indebitata, con un ammontare complessivo del debito pari a 3,8 miliardi di euro, in termini relativi il dato più preoccupante è registrato dal Molise (1.735 euro per cittadino). Il Lazio segue, tuttavia, con un dato pro-capite pari a 644 euro, un debito medio comunque pari a quasi il doppio del dato medio nazionale (377 euro).

Va detto comunque che, sebbene la situazione rimanga sconfortante ed ingiustificabile, uno spiraglio di luce all’orizzonte c’è: nel quadriennio 2011-2015 il debito complessivo è andato  infatti via via contraendosi. Una parte di merito va anche all’obbligo di fatturazione elettronica, introdotto all’inizio del 2015. Il segno negativo si registra in quasi tutte le regioni: fanno eccezione solo Umbria e Molise, dove la situazione risulta peggiorata, ed anche in maniera consistente (+58% e 40%, rispettivamente). Al contrario, in cima alla classifica troviamo regioni che hanno, nel giro del quadriennio, dimezzato il proprio debito nei confronti delle imprese – tra queste, troviamo anche Campania e Lazio, due tra le regioni dove il problema è da sempre particolarmente significativo. Sono, tuttavia, le Marche a fare scuola, confermandosi la regione più virtuosa, con una riduzione del 70%, quasi il doppio del dato nazionale (-39,7%).

Sebbene i tempi di pagamento si siano dimezzati – 153 giorni (nel 2016) rispetto ai 300 di soli 5 anni prima – i ritardi rimangono un problema serio, soprattutto in alcune regioni: alle virtuose Valle d’Aosta (76), Friuli Venezia Giulia (83) e Trentino Alto Adige (84) si contrappongono Molise e Calabria, dove i tempi di pagamento vanno ben oltre l’anno – 621 e 443 giorni, rispettivamente. Se è vero che tali ritardi sono talvolta imputabili anche a distorsioni proprie dei meccanismi di procurement, per cui in molti casi le forniture vengono acquistate con forti differenze di prezzo tra una regione e l’altra – generando una sorta di tacito accordo tra committente e fornitore, per cui a tempistiche più generose corrispondono prezzi pagati più elevati – è altrettanto vero che situazioni particolarmente patologiche vanno assolutamente arginate, se vogliamo uscire a testa alta dalla procedura di infrazione – tuttora in corso – avviata dalla Commissione Europea nei confronti dell’Italia per aver violato la Direttiva Europea sui ritardi di pagamento del marzo 2013.


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