Assalto respinto. Almeno ieri, si sa che nel mondo delle criptovalute le sorprese sono all’ordine del giorno. Certo che nel fine settimana la pressione contro il Bitcoin core (Btc) è stata tale che perfino i più accesi sostenitori hanno cominciato a vacillare. In poche parole il Bitcoin cash (Bch), nato da un hard fork lo scorso agosto, ha cercato di espugnare il trono alla criptovaluta primigenia. Il Btc dal record toccato mercoledì scorso a 7.879,06 dollari subito dopo l’annuncio della sospensione a tempo indeterminato di SegWit2x, l’hard fork previsto il 16 novembre, è precipitato fino a toccare domenica mattina un minimo 5.617,69 dollari, perdendo ben 2.262 dollari in soli quattro giorni. Allo stesso tempo, il Bch è salito alle stelle: giovedì mattina era quotato 662,71 dollari, domenica ha toccato il nuovo record di 1.539,13 dollari.
Nella serata di ieri, però, il Btc saliva dell’8,4% a 6.348,66 dollari, mentre il Bch era scambiato a 1389,62, con la spinta al rialzo apparentemente in esaurimento. Domenica lo spostamento dal Btc al Bch sembrava inarrestabile, accompagnato sulle chat dedicate alle criptovalute da una campagna propagandistica in grande stile. Ovunque i sostenitori del Bch spuntavano come funghi. Lo switch è partito giovedì con il grido di guerra lanciato da Tom Zander, uno degli sviluppatori di Bitcoin classic, un hard fork di scarso successo, la cui esperienza è stata chiusa proprio quel giorno. «Adesso tocca a voi stabilire quale catena avrà maggiore trazione. Tocca al prossimo miliardo di persone che cominceranno a utilizzare Bitcoin Cash. Sono sicuro che nel giro di sei mesi toglieremo la parola Cash e il nostro sarà l’unico vero bitcoin», ha proclamato Zander.
Qualcuno ha cominciato a crederlo. Anche perché uno dei più grossi possessori al mondo di Btc, Roger Ver, ha annunciato di aver venduto Btc per comprare Bch. «Bitcoin Cash è utile per le transazioni commerciali e pertanto può essere usato anche come riserva di valore». L’attacco al Btc, spiegato in parole povere, è motivato dal fatto che le transazioni sulla sua catena originaria sono lente e costose. SegWit2x aveva l’obiettivo di velocizzarle e renderle meno onerose, ma non è stato raggiunto il consenso necessario per lanciarlo. Da qui la rinuncia all’hard fork. I sostenitori di SegWit2x si sono allora buttati su Bch che, pur non essendo al livello del primo, consente comunque operazioni più rapide e meno costose rispetto al Btc. A un certo punto, il Bch è diventato la seconda criptovaluta più capitalizzata al mondo, superando per qualche ora Ethereum, il cui creatore, Vitalik Buterin, si è subito congratulato con i concorrenti. Una furbata. Buterin sa benissimo che una guerra civile nel mondo del bitcoin non può che favorire il suo Ethereum.
«Sto adeguando il mio software a Bitcoin Cash. Sospetto di non essere l’unico», ha twittato Rick Falkvinge, fondatore del Partito dei Pirati svedese e ceo di Bch. Ceo? Ma il bitcoin non è decentralizzato e quindi non prevede per definizione nessuna autorità? Nel manifesto diffuso due giorni fa, Falkvinge definisce Bitcoin Cash una «dis-organizzazione». Al di là del linguaggio situazionista che agli operatori della finanza tradizionale può sembrare folle, la guerra civile in corso, strisciante da tempo, è stata fatta esplodere dalla notizia che entro la fine dell’anno il Cme, la più grande borsa mondiale dei derivati, lancerà un future sul bitcoin. Questo porterà gli investitori tradizionali e soprattutto quelli istituzionali a fare il loro ingresso nel mondo delle criptovalute. Nessuno ha ancora ipotizzato quanto denaro fresco potrà arrivare. Ma sarà tanto e capace, almeno nei primi tempi, di dare un’altra botta al rialzo al bitcoin.
I sostenitori del Bch hanno poco tempo per scalzare il Btc e farlo diventare il punto di riferimento del future. Questo obiettivo è perseguito soprattutto dai minatori, coloro che, risolvendo calcoli complessi, permettono di autenticare le transazioni in bitcoin e che in cambio vengono ricompensati con la criptovaluta. Un tempo potevano farlo anche gli studenti con il pc di casa. Ora ci vogliono macchine sempre più potenti. Così sono state create delle vere e proprie fabbriche, soprattutto in Cina, che richiedono enormi investimenti. Questi grossi minatori, come Jihan Wu, ceo di Bitmain, produttore di apparecchiature per il mining, puntano sul Bch perché sulla corrisponente blockchain la loro attività è più profittevole. I puristi ribattono che i minatori non possono diventare i padroni del bitcoin.
Siamo al paradosso: la Cina ha proibito le borse che scambiano le criptovalute, ma non ha chiuso le miniere. D’altronde i loro proprietari sono ricchissimi e quindi hanno mezzi adeguati per fare lobby. L’impennata del Bch è partita dalla Corea del Sud, dove molti investitori cinesi hanno trasferito la loro operatività una volta chiusi gli exchange nella madrepatria. Da qui a dire che i cinesi vogliono impossessarsi del bitcoin il passo è breve. Ieri l’assalto sembrava fallito. Ma la guerra civile potrebbe continuare. Con grave danno per la reputazione del bitcoin. Come al solito i pericoli più insidiosi vengono dall’interno, non dall’esterno.
(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)