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Chi è Liu He, l’economista liberal che consiglia Xi Jinping

xi jinping

Quando a maggio del 2013 Xi Jinping, da pochi mesi presidente della Cina, incontrò l’allora consigliere per la sicurezza statunitense Thomas Donilon era accompagnato da un funzionario alto e dall’aspetto da intellettuale. Un mese dopo, il leader cinese sarebbe volato negli Usa per il suo primo incontro con Barack Obama. «Le presento Liu He, lui per me è molto importante», disse Xi all’inquilino della Casa Bianca, indicando l’economista che l’autunno successivo sarebbe stato il principale artefice del programma di riforme presentato al Terzo plenum del 18esimo Comitato centrale del Partito comunista per avviare quella che lo studioso Chen Li definisce la versione 2.0 della trasformazione della seconda economia al mondo.

Nei primi cinque anni di mandato di Xi Jinping, il ruolo di Liu è stato quello di ombra del presidente negli spostamenti in patria e all’estero. Ecco perché la sua nomina nel Politburo del Pcc è stata una delle previsioni azzeccate del 19esimo Congresso che si è chiuso lo scorso 24 ottobre. Nelle discussioni su quanti dei 25 componenti dell’organismo siano realmente fedeli a Xi e quanti invece rispondano al suo predecessore Hu Jintao, Liu rientra a pieno titolo nella prima categoria, benché in passato abbia lavorato anche per lo stesso Hu e ancora prima per l’ormai 91enne Jiang Zemin.
Con l’esplodere della crisi finanziaria del 2008, ad esempio, fu chiamato dall’allora premier Wen Jiabao nella squadra per studiare le misure necessarie ad attutire le ripercussioni della tempesta finanziaria sull’economia del Dragone. Il risultato fu un pacchetto di stimolo da 586 miliardi di dollari per rilanciare gli investimenti e iniettare risorse, principalmente nelle infrastrutture e nei trasporti.

Un anno più grande del 64enne Xi, che stando alle cronache conosce fin dai tempi dell’infanzia, Liu ha mosso i primi passi nella gestione economica della Cina alla fine degli anni Ottanta, lavorando nei ranghi della Commissione di pianificazione nazionale, che oggi si è trasformata nella Commissione per lo sviluppo e le riforme. Formatosi all’università Renmin di Pechino e ad Harvard, è annoverato nella schiera dei liberal del Pcc, l’enorme corpo politico da 90 milioni di iscritti con all’interno posizioni che spaziano dal maoismo alla scuola di Chicago. Nel 1998, assieme ad altri economisti di primo piano tra i quali l’attuale vicegovernatore della People’s bank of China, Yi Gang, fu tra i promotori del cosiddetto Gruppo dei 50, un forum di tecnici riuniti con l’intento di dare indicazioni e raccomandazioni sulle strategie economiche alla leadership politica.

Dopo essere stato promosso sotto Xi a direttore del gruppo di lavoro sull’Economia e la Finanza per Liu si dovrebbero ora aprire le porte dell’Ufficio centrale per la ricerca politica, lasciato scoperto da Wang Huning, l’ideologo di Pechino entrato nell’ultimo comitato permanente, l’organismo a sette al vertice dell’organizzazione del Partito. Con l’eventuale nomina di Liu economia e ideologia andrebbero quindi a braccetto.
La Cina che verrà nei prossimi trent’anni, così come descritta da Xi Jinping, si lascia alla spalle il passato modello di sviluppo che ha contribuito a una crescita senza precedenti, ma allo stesso tempo ha prodotto un divario in termini di ricchezza e problemi ambientali, sottolinea Alex Wolf di Aberdeen Standard Investment. Il nuovo contratto sociale tra cittadini e Partito riassunto dal presidente nel concetto di «socialismo cinese per una nuova era» ricalca in parte la «nuova normalità», che dovrà contraddistinguere la crescita cinese. Uno sviluppo fatto non più soltanto di investimenti infrastrutturali, ma di consumi e con un’espansione del pil a ritmi più contenuti. «I mercati sarebbero diffidenti se seguissimo l’approccio del passato di stimolo alla domanda», spiegava lo scorso anno un’anonimia fonte al Quotidiano del Popolo. È opinione comune che l’interlocutore del giornale fu proprio Liu, considerato l’architetto della nuova normalità e delle riforme sul lato dell’offerta, con la riduzione dell’eccesso di capacità produttiva e la riorganizazzione delle grandi imprese di Stato, il cui processo sta provando ad avviarsi.

Quattro anni fa lo spirito dell’agenda economica messa a punto da Xi e Liu ricordò a molti quella di Deng. Il Plenum del 2013 fu pertanto accostato a quello del 1978, che sancì l’avvio della trasformazione della Repubblica popolare uscita dal maoismo. Non a caso, anche il contributo teorico del capo di Stato appena incluso nello statuto del Pcc si propone come un aggiornamento ai tempi recenti del socialismo con caratteristiche cinesi. Alcune linee sul percorso che la seconda economia al mondo dovrà prendere nei prossimi anni sono emerse nelle tre ore e mezza del discorso tenuto da Xi in apertura di Congresso. «Il governo potrebbe decidere di mettere da parte i target di crescita o eventualmente accettare un ritmo più contenuto. Ma siccome Xi ha delineato le priorità fino al 2035 questo potrebbe non avvenire nell’immediato, ma guadagnare importanza dal 2021», aggiunge ancora Wolf nell’indicare anche altri possibili risvolti della politiche indicate dal presidente. La maggiore centralizzazione delle decisioni potrebbe portare a minori riforme a livello locale; il controllo sempre più stringente sulle aziende pubbliche e private dovrebbe avere ripercussioni soprattutto tra le prime, la riforma del conto capitale sembrerebbe aver smesso di essere una priorità. E questo sebbene lo stesso Liu sia considerato uno dei più strenui promotori della liberalizzazione finanziaria. A detta di Wolf, anche l’attenzione per l’ambiente sembrerebbe motivata da questioni di opportunità In ogni caso lo stesso Xi ha citato la parole «verde» più volte di quanto abbia fatto nel 2012, sottolinea Daniele Mellana di East Capital. E aggiunge «l’universo investibile sul mercato cinese nel settore ambientale è rappresentato oggi da circa 220 aziende». (riproduzione riservata)

(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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