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Vi spiego chi e come castra l’economia Italia

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Si dice spesso che l’economia italiana presenta oggi luci ed ombre. L’indagine annuale di Mediobanca-Unioncamere sui dati di bilancio delle imprese italiane di medie dimensioni, che sono la parte più vitale del sistema produttivo del nostro paese, presentata ieri a Milano, contribuisce a fare chiarezza sia sulle luci che sulle ombre. L’indagine, che copre il periodo 2006-2015, conduce a quattro conclusioni principali e a tre indicazioni per il futuro.

La prima conclusione è che dai dati degli anni 2103, 2014 e 2015 emerge che, dal punto di vista dell’andamento della produzione e delle vendite, la crisi che ha investito l’Italia a partire dal 2008 ed è proseguita negli anni successivi, è ormai sostanzialmente alle nostre spalle nel senso che le imprese oggi hanno livelli produttivi e fatturati in crescita ed hanno anche ricominciato ad assumere dei lavoratori dopo le forti riduzioni dei livelli del personale che si sono avute in questo periodo. Questa affermazione non significa affatto che è stato recuperato il terreno perduto in questi anni, perché, ai ritmi attuali di crescita, passeranno almeno cinque anni per il reddito e sette o otto per l’occupazione per ritornare ai livelli che precedettero la crisi. Dunque il danno subito e il prezzo pagato alla crisi ed al ritardo nell’affrontarla sono e rimangono elevati. Però qualcosa si muove e questo è un fatto positivo.

La seconda conclusione è che la ripresa ha avuto un unico motore costituito dalle esportazioni. Per le medie imprese, le esportazioni rappresentavano poco più di un terzo del fatturato dieci anni fa; sono salite al 44 per cento del fatturato a fine 2015 e, nelle risposte a un sondaggio dell’Unioncamere le imprese rispondono in prevalenza che per le esportazioni il 2016 e il 2017 saranno migliori dello stesso 2015. Circa questa ripresa delle esportazioni, è indispensabile ricordare che essa è stata resa possibile dalla svalutazione dell’euro rispetto alle principali valute mondiali seguita alle decisioni di politica monetaria che il presidente della Bce Draghi è riuscito a imporre dall’inizio del 2015, prevalendo sulle posizioni contrarie e le obiezioni della Germania. E’ bene ricordarlo perché il Quantitative Easing che ha favorito la flessione dell’euro si avvia ormai alla sua conclusione e c’è il rischio, di cui ci sono già segnali nei mercati valutari, che l’euro ricominci a crescere danneggiando quello che è stato l’unico motore che per noi ha funzionato. La domanda di consumi invece è rimasta sostanzialmente ferma, anche perché in questi anni di crisi i redditi delle famiglie hanno subìto una falcidia vera e propria e non ci sono, per ora, segni di un aumento dei salari.

La terza conclusione è che questi segnali di ripresa avvengono in un quadro che ha visto ridursi notevolmente il numero delle imprese di media dimensione. Esse erano 4368 a fine 2006; sono scese a 3316 a fine 2015, con una riduzione di 1052 unità, cioè di quasi un quarto della consistenza iniziale. Una tabella del volume di Mediobanca consente di capire come si è prodotta questa riduzione: un quarto circa della riduzione del numero è stata dovuta al fatto che imprese di medie dimensioni sono cresciute e sono diventate di dimensioni medio-grandi. Si è trattato quindi di una riduzione fisiologica e positiva. Ma il grosso della riduzione è stato dovuto invece agli effetti della crisi. Si è trattato o di riduzioni del fatturato o del numero dei dipendenti o addirittura a liquidazioni o a procedure concorsuali. Dunque la crisi ha pesato per oltre il 50 per cento della riduzione del numero e in questi casi si tratta di imprese che sarà difficile recuperare, anche se la congiuntura dovesse continuare a migliorare.
All’interno di questi dati, vi è la situazione specifica del Mezzogiorno, che è analoga nelle percentuali, ma assai amara nei numeri assoluti. Nel 2006 c’erano 446 imprese medie nel Sud su 4368 in tutta Italia. Si trattava del 10 per cento del totale. Ve ne sono a fine 2015 316 su 3316, cioè meno del 10 per cento. Sulla riduzione del umero delle imprese medie meridionali hanno pesato, più che al nord, ile liquidazioni e le procedure concorsuali. Dunque la crisi ha colpito il Sud più del resto del Paese.
La quarta conclusione è che l’occupazione si è ridotta in misura molto significativa – più significativa della riduzione del numero delle imprese. Fra il 2006 e il 2015 l’occupazione dell’intero comparto è scesa da 620.000 a 480.000 con una riduzione superiore al 20%. Insieme alla congiuntura vi sono quindi fenomeni strutturali connessi alla rivoluzione delle tecnologie produttive che rendono assai più difficile che in passato realizzare la piena occupazione.

Questo è il quadro che emerge dall’indagine Mediobanca Unioncamere. Da essa scaturiscono tre indicazioni o tre conseguenze:
– È indispensabile integrare lo stimolo alla ripresa che proviene dalle esportazioni – che non sappiamo quanto a lungo potrà durare – con un aumento della domanda interna. Bisogna sostenere i consumi, il problema è come.
– È stato osservato in tutta Europa che la ripresa non è accompagnata da un aumento dei salari. Questo è probabilmente dovuto al fatto che il tasso di disoccupazione nell’area dell’euro è ancora a un livello elevato e che le innovazioni tecnologiche tendono a rafforzare questo effetto. Se è così, il sostegno alla domanda non può che provenire dal bilancio pubblico. Per sostenere i consumi si potrebbe ricorrere a una riduzione del prelievo fiscale; oppure si potrebbe pensare a una spesa pubblica per investimenti, che negli anni della crisi, è scesa a livelli minimi. Il problema, per il nostro paese, è la compatibilità fra queste politiche di sostegno della domanda attraverso il bilancio pubblico e la condizione del nostro debito pubblico. Come si vede dalla ripetute dichiarazioni di esponenti europei, ci sarà un fuoco di sbarramento contro qualunque ipotesi di un’azione dal lato del bilancio pubblico italiano. Ma dobbiamo sapere che se cederemo a queste pressioni, rischiamo di vedersi spegnere la ripresa come una candela vicina all’esaurimento. Il problema è di elaborare un programma che consenta di convincere l’Europa (e i mercati finanziari) che le politiche di sostegno della ripresa sono non solo necessarie ma costituiscono l’unica strada per mettere in prospettiva i conti pubblici italiani in sicurezza.
– E’ necessario ripensare le politiche per il Mezzogiorno, partendo dalla constatazione che, seppure poche, le imprese industriali meridionali hanno risultato nel complesso soddisfacenti, molto vicini a quelli dell’intero comparto. Si tratta di sostenere queste imprese e favorire la nascita o il trasferimento dal resto del paese nel Mezzogiorno. Sarebbe un peccato grave ignorare i dati che segnalano delle potenzialità e ripetere stancamente strade percorse in passato senza risultati.


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