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Passato, presente e futuro dell’euro secondo Martin Sandbu

Martin Sandbu (in foto) non ama girare troppo attorno a un concetto. Per lui l’Unione europea sta inanellando una lunga serie di decisioni sbagliate, è strattonata da una parte all’altra da europeisti e antieuropeisti privi della minima lungimiranza politica e avrebbe dovuto lasciare fallire la Grecia, senza “se” e senza “ma”. Ha spiegato le sue ragioni durante Bookcity Milano, alla presentazione del suo libro La moneta rinnegata. Presenti all’evento anche Riccardo Perissich, conoscitore delle tematiche internazionali, ex membro della Commissione europea e stretto collaboratore di Altiero Spinelli, Franco Bruni, professore di Teoria e politica monetaria internazionale alla Università Bocconi e Francesco Saraceno, Economista OFCE Sciences-Po e Luiss Guido Carli, moderati dal giornalista Marco Valerio Lo Prete.

LA MONETA RINNEGATA

“La moneta rinnegata” è il titolo dell’ultimo libro di Martin Sandbu, editorialista del Financial Times, ex consigliere governativo sui temi delle risorse naturali e dello sviluppo economico, con un passato da insegnante e ricercatore nelle università di Harvard, Columbia e Wharton. Per Lo Prete la sua opera “è semplicemente spiazzante, in grado di scontentare contemporaneamente sia gli europeisti, sia gli euroscettici, quindi qualcosa di corretto c’è sicuramente” dato che non lascia superstiti sul campo. “La tesi di Sandbu – si inserisce l’economista Francesco Saraceno, curatore della prefazione – è netta: il campo pro-euro sta perdendo la battaglia delle idee contro i sostenitori dei vari exit, perché ne accetta la premessa fondamentale, quella cioè di un’unione monetaria che non può funzionare senza unione politica. Chi è pro-euro si limita a spaventare i pro-uscita con spauracchi sul loro futuro e sulle ricadute economiche mentre non riesce a declinare i vantaggi dati dal restare”.

IL BIVIO CUI E’ ARRIVATA BRUXELLES

Per Martin Sandbu, oggi l’Unione europea è arrivata davanti a un bivio: “europeisti e euroscettici concordano almeno su un punto: le cose così come sono non vanno bene a nessuno. I primi spingono per una maggiore integrazione, i secondi vogliono uscire”. Due soluzioni antitetiche che hanno un denominatore comune: “la necessità di procedere con il supporto della popolazione, avendo cura di interpellarla” in quanto, avverte l’editorialista del Financial Times “continuare ancora senza sarebbe pericoloso”. Perciò, sia che si scelga di abbandonare la strada comune intrapresa dai sei Stati fondatori oltre mezzo secolo fa, sia che si propenda per un potenziamento della politica comunitaria, prima è bene per le Istituzioni tornare ad ascoltare democraticamente i cittadini. Ma lo stesso Sandbu ammette: “la via dell’integrazione richiede una solidarietà dei Paesi più ricchi verso quelli più poveri che oggi non sembra facilmente realizzabile”.

LA CRISI DEL DEBITO

“La crisi dell’Euro – prosegue l’autore de La moneta rinnegata – è frutto di numerosi errori politici ampiamente evitabili: è una crisi del debito, un debito mostruoso che la recessione ha reso ingestibile dato che i creditori si sono spaventati e hanno iniziato a battere cassa. In quel momento l’Unione europea aveva due possibilità: soddisfare i creditori oppure proteggere i debitori. La prima scelta – spiega Sandbu – mette i Paesi debitori nella amara condizione di dovere dichiarare bancarotta, la seconda mira invece a salvarne le economie malate attraverso lunghi processi di ristrutturazione. Oggi è evidente – sentenzia l’autore de La moneta rinnegata – che le scelte compiute negli anni 2009 e 2010 sul debito sovrano greco e quello bancario irlandese fossero sbagliate: il salvataggio della Grecia ha in realtà costretto il Paese a una cessione importante della propria sovranità e a subire imposizioni che definirei avvilenti. Inoltre, l’adozione comune di politiche deflattive ha causato una contrazione dell’economia nell’eurozona con peggioramento dei debiti nazionali, specie dei Paesi malati”.

LA CRISI PERENNE DELL’EURO

“L’idea di considerare inammissibili i default dei Paesi, tipica soprattutto dell’ex presidente della Banca Centrale Europea Jean-Claude Trichet ha portato l’Euro in uno stato di crisi continua” (per un approfondimento sulla irreversibilità della crisi, clicca qui) sostiene il professor Bruni. “Dovremmo porci due domande sull’architettura dell’Unione europea visto che un Paese non può indebitarsi e poi ricattare tutti gli altri con la minaccia che se non viene salvato si lascerà fallire, portando a fondo tutti gli occupanti della barca comunitaria”. Infine, sostiene il bocconiano: “La situazione individuata da Trichet ha spostato il focus del problema dalla singola economia malata all’Euro. È insomma responsabile della nascita di quei partiti che additano la moneta unica quale causa delle loro sofferenze, delle cure di cavallo eteroimposte, della deflazione. Un fallimento pilotato invece può avere numerosi benefici anche se non è mai una passeggiata di salute. La nuova Europa – indica il professor Bruni – per proseguire dovrebbe iniziare a regolare la prassi dei fallimenti. Inoltre dovrebbe limitare, se vuole sopravvivere, il numero dei titoli di Stato che oggi le Banche detengono nelle casseforti perché sono bombe pronte a esplodere”.

TECNOCRAZIA O POLITICA?

“Dovremmo smettere di ripeterci una storia destituita di ogni fondamento – esordisce Perissich – ovvero quella, sfruttata spesso nella narrazione renziana, che la crisi così, come ogni cosa che riguarda l’Unione, è gestita dalla tecnocrazia di Bruxelles. Qualsiasi scelta della Commissione ha avuto e ha tutt’ora natura politica”. Perissich invece di focalizzarsi sulle origini economiche della crisi, analizza il mal funzionamento dell’Unione europea: “Con istituzioni di stampo federale, la risposta di Bruxelles sarebbe stata più rapida. È venuta a galla la natura di compromesso su cui poggia oggi l’intera architettura comunitaria: ogni decisione deve essere presa a 27. Non solo: avendo l’Unione una locomotiva franco-tedesca, si barcamena sempre tra la concezione germanica che intende la politica come il rigido rispetto di quanto stabiliscono le regole e la visione francese secondo la quale la politica è il rispetto della volontà e del principe”.

 

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