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I cattolici in politica, la difesa della vita, lo Ius Soli. Parla il cardinale Ruini

“La cultura occidentale sembra messa davanti a un bivio: o proseguire in un post umanismo che è integralismo, e in cui la natura umana cessa di esistere, o trarre dalle radici cristiane e laiche la linfa per un nuovo sviluppo in pienezza”. Sono le affermazioni scandite dal cardinale Camillo Ruini sabato 4 novembre di fronte a un pubblico composto prevalentemente da giovani, in occasione della giornata inaugurale della scuola di formazione politica della Fondazione Magna Carta a Roma.

L’INTERVENTO ALLA SCUOLA DI FORMAZIONE DELLA FONDAZIONE MAGNA CARTA

Il cardinale, sedendosi a fianco del senatore Gaetano Quagliarello e della deputata Eugenia Roccella, ha analizzato a tutto tondo l’attuale situazione, dai temi del diritto alla vita allo Ius soli, passando per la politica italiana e dei suoi rapporti con la Chiesa, fino alle declinazioni oggi assegnate al concetto di libertà, utili a inquadrare quale direzione sta imboccando una società con la tendenza ad assolutizzare sempre più i diritti individuali. Il punto messo a fuoco dall’ex guida della Cei è che “non può esistere una libertà individuale”, in quanto “siamo esseri relazionali”, e che “la cultura dei diritti soggettivi se assolutizzata diventa una tragica illusione che porta alla negazione di noi stessi”. E che lì “si nasconde una profonda contraddizione, alla base del disagio e dell’infelicità della nostra epoca”. Discorso che vale anche in questioni più immediate come lo Ius Soli, per il quale è “difficile parlare di un diritto del suolo, perché certamente in alcuni paesi è regolato così”, ma “sono tutte forme relative che io non assolutizzerei”. Ma “vedrei come più o meno questo reale diritto possa essere contemperato”, attraverso “un esame complessivo, da inserire nel complesso della situazione”.

L’ATTUALE CONTESTO E L’ENCICLICA EVANGELIUM VITAE

Ruini non vuole avere un approccio solamente negativo rispetto al contesto odierno, e infatti parla di atteggiamenti contrastanti, in alcuni casi anche positivi, come il diritto intangibile alla vita manifestato nella proibizione della pena di morte o negli sforzi medici per migliorare le condizioni di vita e ad allungarne la durata. Però poi c’è il nodo dell’aborto: “Eugenetico, in conseguenza delle diagnosi prenatali, o per gli embrioni sacrificati a uso terapeutico o per la riproduzione artificiale”. O dell’eutanasia, “prima negata a parole poi introdotta nei fatti e rivendicata come libera scelta, senza contare i casi di eutanasia non richiesta, per stati vegetativi, malati terminali o bambini nati con gravi handicap”. L’atteggiamento “positivo alla vita coesiste perciò con quello negativo”. Il tema dell’incontro è l’enciclica di Giovanni Paolo II Evangelium Vitae, testo dal “respiro universale”, ha spiegato Ruini, in quanto baluardo contro la “minaccia alla vita”, espressa nella forma del conferimento di tali “diritti individuali assoluti” che ormai “caratterizzano la civiltà occidentale”. Enciclica in cui il pontefice polacco “ha inteso affermare e difendere il valore fondamentale della verità oggettiva dei nostri valori morali”, che va comunque “inserita nel contesto complessivo della verità cristiana del Concilio Vaticano II e della dichiarazione Dignitatis Humanae, in particolare sul diritto dell’affermazione civile e religiosa”, e che “ha ventidue anni ma sembra scritta oggi”. Con l’aggravante però, dato di fatto questo su cui si è convenuto, che la situazione si è appesantita e i rischi denunciati si sono ampiamente realizzati.

I CATTOLICI OGGI E LA DIFESA DELLA VITA

Quello di Wojtyla è cioè stato, ha spiegato Ruini, un “atto massimamente significativo”, un “documento nel quale ha impegnato maggiormente il suo magistero dicendo che il comandamento di non uccidere tocca specialmente gli innocenti”, ma valido per eutanasia e aborto come anche per la pena di morte, e che è rivolto “a titolo speciale ai credenti e ai vescovi”, seppure non esclusivamente a loro. “L’inviolabilità assoluta della vita umana innocente è una verità morale insegnata dalla Sacra Scrittura, costantemente mantenuta nella tradizione della Chiesa e unanimemente proposta nel suo magistero”, ha puntualizzato Ruini. Una decisione cioè “infallibile e non riformabile, mai esplicitamente formulata prima”. Con un risvolto, inoltre, fortemente “intra-ecclesiale”, nei confronti cioè di “teologi cattolici che avevano obiettato che non ci sono verità morali inviolabili”. Ma di cui, tuttavia, “molti cattolici anche praticanti non sembrano consapevoli”, nel momento in cui “sostengono e mettono in pratica posizioni incompatibili con la fede che professano”. “Le parole di Giovanni Paolo II sembrano venire da un altro pianeta rispetto all’atteggiamento di politici che si dichiarano cattolici ma sono a favore di aborto e eutanasia, come anche di elettori cattolici praticanti ma indifferenti a tali questioni”, ha tuonato Ruini. “Sono problemi gravi, che indicano uno scarso senso di appartenenza ecclesiale e di una laicità male intesa che rivendica la totale autonomia morale in sede politica e legislativa. Ma se essi sono consapevoli dei contenuti antropologici della loro fede non possono prescindere da questi”.

IL CONTESTO DELL’EVANGELIUM VITAE

All’epoca infatti “c’era un contesto e un sostrato culturale, e anche politico, che oggi si è molto indebolito, e di questo dobbiamo esserne consapevoli”, ha affermato il cardinale: “Siamo tutti corresponsabili. Anche la Chiesa ha le sue responsabilità, nel non aver tenuto abbastanza vivo il senso dell’importanza di queste tematiche”. Ma “io spero che, piano piano, si possano riscoprire le radici del fatto che dobbiamo avere una cultura diversa. E di non pensarla come un qualcosa di separato dalla fede, che è un criterio di giudizio, e in questo senso è generativo di cultura”. Giovanni Paolo II diceva infatti “che la fede se adeguatamente pensata genera cultura, altrimenti significa che non è stata abbastanza pensata”, ha ricordato. Rapporti, tra fede e cultura, che si incrinano “troppo spesso”, nel momento in cui la prima non diventa “un fondamentale indirizzo di criterio e di orientamento per la nostra vita e per le decisioni che essa richiede”. “Se non cresceremo sotto questo profilo siamo condannati a una crescente insignificanza a o irrilevanza, che paralizza la nostra capacità di evangelizzazione, non solo in politica e sui temi della vita ma in ogni aspetto e dimensione della proposta cristiana”, ha così affermato tranciante il porporato.

IL RAPPORTO TRA FEDE E CULTURA

In confronto a oggi il marxismo “era un’eresia marginale, la sua reale forza culturale era modesta ed è stata già superata da tempo, dopo aver rivelato un guscio vuoto che da critica dell’ideologia era diventato ideologia che giustificava il potere”, ha proseguito. Mentre il “libertarismo” che viviamo oggi “è molto più radicato nella nostra cultura”, e ciò “non significa che dobbiamo sempre criticarla”. Ma che “bisogna sempre rifiutare l’idea del perfezionismo”. Sullo sfondo del convegno, assieme al senatore Quagliarello, c’è infatti il tema del rapporto tra cristianesimo e liberalismo, di questa tensione che, per il fondatore di Idea, in Italia risale fino alla “genesi della nazione”, in un “cammino quasi ininterrotto” e che ora, di fronte “al fenomeno del terrorismo, che implica una dimensione identitaria che coinvolge la religione”, ritorna in campo e manifesta la “tradizione non unitaria” riconducibile al pensiero liberale. Ma dove anzi, per di più, accade che “il perfettismo che il comunismo applicava alla società viene oggi trasferito in ambito antropologico”, facendo in modo che “la linea del futuro diviene certezza e l’individuo diventa una monade”.

CHIESA E LIBERALISMO PER IL CARDINALE RUINI

Per Ruini invece tutto il tema del liberalismo comprende “non solo l’assenza da costrizioni esterne ma la libertà reale del soggetto, la facoltà di autodeterminarsi che c’è in lui, ed è su questo punto che la Chiesa e il liberalismo sono pienamente d’accordo: che questa c’è veramente”. La libertà infatti per la Chiesa, ha spiegato il cardinale, ”in polemica con i giansenisti, si ha quando, posto tutto ciò che serve per agire, si può ancora decidere se agire oppure no”. La stessa cosa “vale per la conoscenza umana”, che se ridotta “a puramente sensibile” ci rende “impossibile conoscere Dio e pensare alle verità definitive e non riformabili”. In tutto ciò resta necessario, come affermato “da Benedetto XVI e da Francesco”, tenere insieme “l’impegno per la vita e la famiglia a quello per la giustizia sociale e la pace, rigettando tendenze diffuse a separare e contrapporre questi due aspetti. Tutti sono chiamati a promuovere uno stato umano e che incoraggi iniziative e gruppi per la vita”.

LE SFIDE FUTURE E LA GRANDE QUESTIONE: CHI È L’UOMO?

Da qui, il punto finale, per Ruini, è la necessità di riprendere in mano “la grande questione: chi è l’uomo?”. Perchè “se non si riprende questa non c’è speranza”. “Io penso che anche oggi la questione di fondo resti tale, l’uomo si sente intimamente libero ed è contro-intuitivo pensare il contrario, perciò bisogna cercare di far rivivere il senso dell’eccezionalità umana”, ha confidato l’ex guida della Cei. E da lì “anche affrontare problemi come la maternità surrogata, ma il cammino è lungo”. Bisogna andare cioè ai “fondamenti antropologici”. E quando in sala si parla di “deriva antropologica” per tutti i presenti in sala il nodo della questione, messo a fuoco dalla Roccella, è chiaro: “Giovanni Paolo II, parlando dei cattolici, diceva: meglio contestati che irrilevanti. Nel periodo di Ruini la Chiesa è sempre stata contestata ma mai irrilevante. E l’Evangeli Gaudium era profetica rispetto a oggi, quando la politica non interpretava i segnali inquadrandoli nell’agire politico. Quella Chiesa era estremamente all’avanguardia, ma purtroppo la situazione è molto cambiata negli anni”. Quale compito resta così alla politica, secondo il pensiero di Ruini? “Curare le ferite, perseguendo in modo globale il bene umano”, ed “essere lungimirante, non inseguire cioè il consenso immediato ma il bene umano in termini prospettici”. Come ad esempio sul tema della demografia. “Qual è la causa delle crisi e dell’infelicità?”, ha concluso il porporato: “Una società in cui ci sono molti anziani e pochi giovani non ha futuro, è evidente. E oggi si vive una situazione molto difficile. Non si capisce perché le politiche sono più rivolte agli anziani che ai giovani, forse perché i primi votano più dei secondi. Ma anche questo è un fatto grave, e se non reagisce si va incontro a una catastrofe, a cui la migrazione non porrà rimedio, perché gli immigrati si adattano alle nostre difficoltà, anzi ne hanno ancora di più”.


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