“Femminista” è ormai una brutta parola? Non ricordo da quando questo termine è diventato sinonimo di donne arrabbiate, sciatte, che odiano l’altro sesso. Vorrei che si sottoponesse la parola a un’opera di manutenzione, per farla tornare nel campo semantico della lotta per i diritti e per le opportunità del genere femminile.
Nell’ultimo numero di PRIMOPIANOSCALAc di Telos A&S abbiamo intervistato la scrittrice cilena Marcela Serrano, il cui ultimo libro, “Il giardino di Amelia”, è uscito nel 2016. Le abbiamo chiesto il suo punto di vista sul femminismo. Secondo la Serrano, il femminismo parte dalle cose semplici, dalla vita privata. La parità tra i sessi si vede davanti a una camicia da stirare, a una lavastoviglie da caricare, a un familiare da accudire.
Le protagoniste dei suoi romanzi sono spesso le donne, ma la Serrano si guarda bene dal far etichettare la sua scrittura come “letteratura al femminile”. E ha ragione. La letteratura deve essere valutata solo attraverso giudizi estetici: può essere bella o brutta, non maschio o femmina. Finire nella categoria della letteratura di genere, significa essere deprezzati: dal genere al “sotto-genere” il passo è breve.
Nell’intervista sorge spontanea una domanda. Le chiediamo quale donna della politica contemporanea potrebbe ispirare un personaggio di un suo libro. La risposta è: “nessuna mi sembra abbastanza drammatica, triste o eroica”. Forse per i primi due aggettivi si potrebbe rimediare. Ma per il terzo sembra ci sia poco da fare.