Ad oggi sono ancora in pochi in Italia i soggetti che investono in bitcoin, la nuova valuta digitale, e per lo più si tratta di persone con competenze finanziarie di medio-alto livello. In Giappone esistono già carte di credito che consentono transazioni finanziarie con la moneta elettronica, il servizio Just Eat in Olanda, Germania e Stati Uniti accettano anche pagamenti in bitcoin e da poco in due città della Svizzera (Chiasso e Zug) è possibile pagare le tasse con i bitcoin, mentre nel nostro paese questo nuovo mercato rimane di nicchia. Più che strumenti per la compravendita di beni e servizi, oggi da noi il bitcoin viene considerato oggetto di operazioni speculative, sul modello dell’oro (tanto da essere soprannominato “oro digitale”). Tuttavia, anche noi abbiamo i primi esempi di utilizzo della valuta digitale, per esempio con la lenta e progressiva creazione di una cosiddetta “Bitcoin Valley” in Trentino, capitana dalla città di Rovereto, dove è possibile pagare in bitcoin alcuni esercizi commerciali e il servizio mensa delle scuole della zona. “Per ora però il bitcoin non è performante negli esercizi commerciali tradizionali perché ha un tempo di verifica delle transazioni di circa dieci minuti”, spiega Guido Baroncini Turricchia, ceo della start up Helperbit e membro del network Coincapital, che ha creato il primo bancomat per il cambio euro-bitcoin. “Se li si usa come valuta, risultano più comodi per le spese online”, ha detto.
Nel campo del digitale e dell’innovazione, le start up fanno da apripista. In Italia sono nate diverse start up digitali che operano nei bitcoin, ma molte hanno trasferito la propria sede all’estero, come Oraclize, Coin Capital e The Rock Trading. “In Italia è difficile operare in questo ambito perché mancano i fondi e la complessità burocratica rallenta tutte le procedure”, racconta per esperienza Turricchia. Tra le imprese di exchange operanti sul territorio nazionale ci sono per esempio Chainside e Bit Boat (a Roma), oppure Conio ed Eternity Wall (a Milano).
Recentemente però anche i big del settore bancario, assicurativo ed energetico hanno cominciato a manifestare un certo interesse per i bitcoin e la blockchain (il sistema digitale su cui si basa la moneta elettronica), nel tentativo di tenere il passo con le start up. L’estate scorsa è stato annunciato che ventidue banche nel mondo hanno scelto, negli ambiti di sperimentazione dell’iniziativa Gpi (Global Payment Innovation), di testare la nuova moneta digitale per valutare l’eventuale miglioramento di monitoraggio e di gestione di conti internazionali. Tra queste ci sono JPMorgan, Barclays, Credit Suisse, Deutsche Bank, insieme anche a Intesa Sanpaolo e Unicredit. Le due banche italiane fanno anche parte del consorzio R3, che ha recentemente raccolto 103 miliardi di dollari di finanziamenti per studiare se e in che misura l’utilizzo dei bitcoin possono migliorare i pagamenti transnazionali. Anche Banca Sell, che lo scorso gennaio ha creato il Fintech District a Milano per promuovere l’innovazione digitale e finanziaria, ha incentivato la ricerca in questa nuova tecnologia.
Nel settore delle assicurazioni, il gruppo di lavoro B31, in cui rientrano anche le Generali, sta studiando il potenziale della blockchain per automatizzare diversi processi e ridurre così i costi di commissione. Il punto di maggiore interesse in questo ambito è quello degli smart contracts, i “contratti intelligenti” legati alla moneta elettronica, cioè i contratti via software che svolgono automaticamente l’operazione concordata, seguendo le condizioni preimpostate. Per esempio, con uno smart contract è possibile gestire il rischio delle assicurazioni, prevedendo la definizione di una somma risarcitoria, automaticamente versata, per ogni violazione del contratto da parte di una dei due o più contraenti. Anche Banca Mediolanum si è detta interessata agli smart contracts in campo assicurativo e ha avviato ricerche in questo settore.
Per meglio comprendere le potenzialità della blockchain, nell’ambito delle utilities da qualche mese Enel ha avviato, insieme ad altri big energetici tra cui Total, E.ON, Vattenfall e Iberdrola, il programma Enerchain, con l’obiettivo di sperimentare un mercato digitale europeo basato sulla tecnologia blockchain per scambiare elettricità in maniera diretta e veloce, senza un intermediario centrale. Per l’azienda energetica italiana il sostegno alle start up è un tema centrale, tanto da disporre di un incubatore che risponde direttamente all’amministratore delegato del Gruppo. “La blockchain per noi non è solo un nuovo protocollo, ma un modo nuovo di vedere le cose”, aveva detto a inizio di quest’anno Diego Dal Canto, Innovation project manager di Enel.
È ancora presto per predire se i bitcoin avranno successo in Italia perché ci troviamo in una fase sperimentale. Molti, dalle start up ai grandi attori economici, hanno intuito che la tecnologia blockchain racchiude delle promettenti potenzialità, ma per garantire l’efficacia, la trasparenza e la sicurezza c’è ancora molta ricerca da fare.