“Una cultura di pace basata sulla dignità degli esseri umani e sul primato del diritto è possibile solo con una cooperazione onesta tra tutti i membri delle nazioni. Qualunque risposta, ha detto Papa Francesco, deve esser collettiva e concertata, in un dialogo che si focalizza sul bene comune e che deve includere tutti. Bisogna evitare conflitti e costruire ponti”. Sono le parole con cui il segretario di Stato della Santa sede Pietro Parolin ha aperto il convegno sul disarmo nucleare, intitolato “Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale”, che avrà luogo in Vaticano nelle giornate del 10 e dell’11 novembre.
L’APERTURA DEL CONVEGNO IN VATICANO SUL DISARMO NUCLEARE
Nella parole del segretario Parolin c’è anche la sottolineatura sul “rischio di isolazionismo”, con il pensiero rivolto alla Corea del Nord di Kim Jong-un. “Tutto è connesso e in relazione”, ha proseguito il cardinale: “Dobbiamo incoraggiare la fiducia verso un processo che porti a un mondo libero da armi nucleari. Bisogna che la comunità tradizionale cambi direzione”. Questo dovrebbe avviarsi con una riconsiderazione delle priorità, in modo tale da “focalizzarsi sulla pace e sulla sicurezza”. Quello che è vero per la guerra contro la povertà è infatti vero anche per lo sviluppo integrale. “È importante che la comunità internazionale eviti un approccio miope e adotti invece azioni di lungo termine”, ha aggiunto. Nonostante “in questi tempi incerti e complessi può sembrare irrealistico o utopico parlare delle prospettive di un mondo senza armi nucleari”.
L’INTERVENTO DEL CARDINALE PIETRO PAROLIN
Un fatto allarmante, per Parolin, è l’aumento della spesa per le armi, nucleari e non, complessivamente registrato in tutto il pianeta. Che include anche il costo per l’aggiornamento degli arsenali. Preoccupazione strettamente legata alle prospettive su cui il Papa “ci invita a riflettere”, a partire dal messaggio dello scorso 27 marzo, in apertura della conferenza dell’Onu, che ha portato poi alla redazione del trattato per la proibizione delle armi nucleari. “Il Santo padre ci ha dato una serie di raccomandazioni”, ha spiegato Parolin: “Rispondere al problema della sicurezza nel ventunesimo secolo attraverso la mancanza delle armi, guardare all’impatto catastrofico ambientale, allo spreco di risorse umane e finanziarie spese per aggiornare queste armi. E che vengono così tolti da altri obiettivi, creando per di più un clima di paura, di mancanza di fiducia e di conflitto”. Una “risposta completa” in questo senso è stata data proprio nell’adozione del trattato, già ratificato dalla Santa Sede, uno dei 3 Paesi sui 122 che finora lo hanno assunto e i 53 che lo hanno sottoscritto.
“QUI VOGLIAMO CONDIVIDERE UNA BUONA NOVELLA”, HA DETTO TURKSON
“Ogni giorno siamo bombardati con notizie di atrocità, vediamo la possibilità dello scoppio di una guerra nucleare, e siamo sull’orlo di un olocausto nucleare”, ha poi aggiunto il cardinale ghanese Peter Turkson (nella foto), prefetto del dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. “Qui vogliamo invece condividere una buona novella, con una volontà globale di incoraggiare gli Stati a perseguire una strategia di riduzione delle armi nucleari. In questo modo, speriamo di creare un mondo totalmente libero da esse”, ha proseguito.
L’INTERVENTO DEL CARDINALE PETER TURKSON
Viviamo infatti “in un momento storico in cui esiste questa paura”, anzi “si è intensificata”. Al punto che “le armi nucleari sono diventate un problema globale, che influenza tutte le nazioni e che ha impatto sulle nostre generazioni e sulle future”, ha detto Turkson: “Sono molto importanti le decisioni dei nostri politici, perché hanno ripercussioni sul nostro pianeta”. Ed è bene tenere a mente che “il desiderio di pace, di sicurezza e di stabilità è uno dei più profondi del cuore umano. Le persone richiedono più sicurezza per loro e le loro famiglie”. Come rispondere a questo? Di certo “non con la proliferazione di armi, che aumentano il problema dell’insicurezza e riducono le disponibilità economiche delle nazioni”, ha affermato il cardinale.
LE SPESE IN ARMAMENTI E LA PACE CHE INIZIA DAL MIGLIORAMENTO DELLA VITA
Perché come “diceva il generale Eisenhower, ogni volta che si lancia un missile rappresenta un furto di risorse tolte alla popolazione”, specialmente quando all’interno di questa si deve “lottare per la sopravvivenza”. E subentra così anche il tema dei costi, dei soldi spesi in armamenti. “Con questi soldi si potrebbero costruire ospedali. Perché la sicurezza non viene data dal numero di armi che possediamo, se nel frattempo c’è bisogno di casa, di sanità, di un miglioramento della vita dell’uomo. È in quel modo che cominciamo a plasmare la pace”.
LE PAROLE ANTICIPATRICI DEI PRECEDENTI PAPI
Nella Laudato Sì di papa Francesco vi è infatti scritto che “quando facciamo affidamento al Dio della pace, rinunciamo all’odio e ai conflitti e promuoviamo il benessere di tutti”, il che “ci fa ritornare a ciò che ha detto Giovanni XXIII: che gli esseri umani sono esseri sociali, devono creare relazioni”. E Paolo VI ha affermato che “sviluppo è il nuovo nome della pace”. Tutti insegnamenti, dei precedenti pontefici, che perciò portano alla conclusione, pronunciata dal cardinale ghanese, che la “stabilità non può essere basata su un falso senso di sicurezza o sulla minaccia di uno sterminio globale, ma sullo sviluppo umano integrale, sulla giustizia, la partecipazione di tutti e la fiducia della persone, istruzione, salute e dialogo per la solidarietà”.