Nell’anno in cui diverse aziende storiche dello Stivale hanno ammainato il Tricolore per issare una nuova bandiera, lo studio legale Hogan Lovells ha commissionato al Politecnico di Milano una ricerca un po’ fuori dagli schemi: analizzare tutti gli investimenti esteri nelle imprese italiane di medie dimensioni. Il risultato è stato presentato a Palazzo della Borsa il 12 novembre e ha sicuramente stupito i presenti.
MA QUALI BARBARI INVASORI…
La ricerca, Italy inbound: look no further – Foreign direct investments in Italy, presentata dal professore di Istituzioni e Mercati Finanziari del Politecnico, Marco Giorgino, mette in luce diversi aspetti. Prima di tutto, i più interessati al “made in Italy” sono gli statunitensi, i francesi e gli inglesi. Seguiti dai giapponesi, dagli svedesi e dagli spagnoli. Nel 57% dei casi, l’acquirente è strategico: compra per mettere in cassaforte un investimento sul lungo periodo. Nel 43% è finanziario, dunque più facilmente attratto da un guadagno dato dalla speculazione. Il dato più interessante è quello relativo al valore medio delle transazioni: 266 milioni di euro. Considerando che si tratta di imprese dal valore compreso tra i 50 e i 500 milioni, spesso non quotate, tanto basta per capire che l’Italia non è affatto l’outlet d’Europa, come talvolta qualcuno afferma.
URGE LAVORARE PER ESSERE PIU’ ATTRAENTI
Del medesimo avviso anche un altro ospite dello studio legale Hogan Lovells, il sottosegretario al Commercio Internazionale, Ivan Scalfarotto secondo cui “dovremmo chiederci come mai l’Italia continui a fare più investimenti all’estero di quanto l’estero non ne faccia da noi”. Insomma, noi esportiamo ricchezza, ma non riusciamo ad attrarla. L’onorevole Scalfarotto azzarda una soluzione: “Dobbiamo diventare ‘prevedibili’, che non è una cosa necessariamente noiosa se si considera che per troppi anni abbiamo spaventato gli investitori con la nostra imprevedibilità”. Anche per questo, dice Scalfarotto, sono stati “istituiti dal 2014 dei tavoli per le parti in causa che servono perché l’investitore straniero non impatti contro i tanti spigoli del nostro sistema”: una burocrazia farraginosa, un insieme di regole ridondanti e un ambiente che le può sembrare ostile. “Semmai bisogna – conclude Scalfarotto – attrezzarci a livello europeo per evitare attività predatorie che mirino a sottrarre il know-how alle aziende acquisite”.
AMBASCIATORI E FARNESINA IN CAMPO PER IL MADE IN ITALY
“Pensiamo che la figura dell’ambasciatore sia fondamentale in questo genere di investimenti per rassicurare i protagonisti esteri sulla tenuta del Paese e sulla stabilità economica e politica” dichiara Francesco Varriale, a capo dell’Ufficio Investimenti Esteri della Farnesina. “Da questo autunno – aggiunge – il Ministero degli Esteri e Borsa Italiana presenteranno nel mondo le piccole e medie imprese così da aiutarle a venire a galla, facendole entrare in contratto con investitori stranieri che altrimenti non avrebbero modo di sapere della loro esistenza”.
ARIA NUOVA PER SPAZZARE VIA LE DINASTIE CHE NON FUNZIONANO
Come fa notare l’avvocato Luca Picone dello studio legale Hogan Lovells, “i media tendono a enfatizzare gli intenti predatori dei colossi stranieri, sminuendo invece gli aspetti positivi che una acquisizione porta con sé: nuovi capitali, nuovi mercati e, talvolta, anche un nuovo management”. Dato che il modello nepotistico tutto italiano secondo cui l’azienda si tramanda di generazione in generazione nell’asse ereditario è entrato in crisi da parecchio (i casi di acclarata incapacità delle nuove leve che fanno naufragare nomi illustri non mancano), spesso l’arrivo degli investitori stranieri salva l’azienda, il marchio e migliaia di posti di lavoro dal fallimento assicurato.
RIVEDERE “L’ACCOGLIENZA ITALIANA”
“Prima di parlare di attrattività dovremmo forse parlare di accoglienza” sentenzia Mattia Adani, consigliere economico del Ministero dell’Economia. “Lo Stato – continua – dovrebbe creare network tra imprenditori in modo tale che, dialogando tra loro, scalfiscano la dominante diffidenza verso lo straniero. Lo Stato ci prova continuamente, ma alla parola di un omologo si tende a dare maggiore credito”. Gli fa eco il Sottosegretario Scalfarotto: “Se un uomo d’affari estero decide di investire nel nostro Paese risorse importanti e noi gli diciamo “sì”, poi dobbiamo essere in grado di fargli concludere l’affare. Altrimenti – ammonisce – finisce come la Tap in Puglia: bloccata da 150 ulivi. Certi nodi vanno sciolti prima di stringere le mani con l’imprenditore straniero: c’è in gioco la nostra credibilità”.