Via Nazionale non ci sta a farsi colpire dalle accuse di non aver vigilato adeguatamente su Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, i due istituti liquidati e oggi in corso di acquisizione da parte di Intesa Sanpaolo. Dopo che il governatore Ignazio Visco, lo scorso 18 ottobre, si è presentato spontaneamente dal presidente della commissione bicamerale d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, Pierferdinando Casini, e dai suoi due vice, Mauro Maria Marino e Renato Brunetta, e ha consegnato 4.200 fascicoli in circa 1.423 file, oggi è stata la volta di Carmelo Barbagallo, capo del dipartimento vigilanza bancaria e finanziaria di Banca d’Italia. In audizione a Palazzo San Macuto, il funzionario ha raccontato la verità di Palazzo Koch ai parlamentari della commissione.
COME HA AGITO LA VIGILANZA SULLE VENETE
Il 23 giugno scorso, ha ricordato Barbagallo, il Consiglio di Sorveglianza del meccanismo di Vigilanza Unico europeo ha dichiarato “la prossimità al dissesto” delle due ex popolari. “Negli anni precedenti, i due intermediari sono stati colpiti dal forte aumento del rischio di credito provocato dalla crisi economica e hanno posto in essere pratiche irregolari e comportamenti scorretti. Gli amministratori – è l’accusa – hanno ripetutamente occultato importanti informazioni alla Vigilanza, di cui hanno deliberatamente disatteso le richieste. Ciò nonostante, e malgrado l’indisponibilità di poteri investigativi commisurati alla gravità dei comportamenti, è stata la Vigilanza della Banca d’Italia ad aver rilevato le criticità che connotavano le due banche: crediti erogati con modalità anomale, non di rado in conflitto di interessi; inadeguate modalità di determinazione del prezzo delle azioni; operazioni di ricapitalizzazione cosiddette ‘baciate’, non dedotte dal patrimonio”. Il funzionario ha rilevato poi che “la Banca d’Italia ha segnalato tempestivamente le irregolarità riscontrate all’Autorità giudiziaria, con la quale l’interlocuzione è stata continua e aperta, al pari della collaborazione con la Consob. Le irregolarità e le anomalie gestionali, che affondavano le radici nella debolezza della governance e nella conseguente autoreferenzialità del management, hanno aggravato gli effetti dell’eccezionale crisi economica che ha colpito il paese”.
Inoltre “la fiducia dei clienti è stata minata dall’emersione del fenomeno delle azioni finanziate; ciò ha contribuito a impedire il successo dell’operazione di ricapitalizzazione sul mercato nella primavera del 2016 e successivamente non ha consentito al nuovo azionista Atlante di risollevare le sorti dei due intermediari. Ne è derivata una spirale perversa che ha determinato, dopo l’esito negativo della verifica delle condizioni per una ‘ricapitalizzazione precauzionale’ dello Stato da parte delle autorità europee competenti, decisioni ultimative (dichiarazione di ‘prossimità al dissesto’).
LE OPERAZIONI “BACIATE”
Per quanto riguarda le criticità maggiori, il capo della vigilanza di Bankitalia si è soffermato in particolare sulle operazioni “baciate”, non più vietate per legge dal 2008, “a patto che i relativi finanziamenti siano autorizzati dall’Assemblea straordinaria” e “che le azioni non siano conteggiate nel patrimonio di vigilanza”. Via Nazionale ha accertato operazioni “baciate” non dedotte dal patrimonio nel corso di ispezioni effettuate a metà 2013 negli uffici di Veneto Banca e a inizio 2015 in quelli di Popolare Vicenza. Nel primo caso “fu trovata traccia, in alcune delibere di fido, del fatto che il credito veniva concesso in vista dell’acquisto di azioni proprie da parte del cliente. I successivi approfondimenti – ha detto Barbagallo – mostrarono che tali operazioni non erano state dedotte dal patrimonio di vigilanza e sottolinearono l’esigenza di esaminare a fondo l’ampiezza del fenomeno”.
Analogo processo induttivo e “progressiva e complessa ricostruzione delle operazioni ‘baciate’” sono stati compiuti per BpVi. In generale, è l’invito arrivato da Palazzo Koch, occorre tener conto “del fatto, ampiamente noto, che gli ispettori di vigilanza non hanno poteri e strumenti di indagine analoghi a quelli propri dell’Autorità giudiziaria (interrogatori, sequestri, perquisizioni, intercettazioni)”. Di sicuro, è stato evidenziato durante l’audizione, “i gravi comportamenti tenuti dalle due banche nella determinazione del prezzo e nella mancata deduzione dei finanziamenti di azioni sono particolarmente significativi in quanto hanno danneggiato la clientela, minandone la fiducia. In termini quantitativi, tuttavia, il fattore che più di ogni altro ha determinato l’abbattimento del patrimonio dei due intermediari è stato il deterioramento della qualità del credito”. A tal proposito Barbagallo ha evidenziato che “i crediti deteriorati sono derivati in gran parte dagli effetti della crisi economica sulle imprese affidate e dalla volontà della banca di sostenere il territorio. Il credito esplicitamente in conflitto d’interessi rappresenta una quota non elevata del totale; esso è nondimeno un fenomeno grave e preoccupante”.
DATI SULL’AZIONE DI VIGILANZA DAL 2007 AL 2017
Barbagallo è poi passato ad esaminare l’azione di Vigilanza “intensa e costante” svolta dalla Banca d’Italia. Negli anni 2007-2017 sono state condotte 9 ispezioni presso Veneto Banca e 7 presso Popolare Vicenza. In particolare il funzionario ha individuato tre periodi: dal 2007 al 2011, quando c’è stata una prima fase di crisi economica e una successiva, temporanea ripresa; dal 2012 al 2014, anni in cui si è aggravata la crisi delle due aziende e sono emerse “irregolarità gestionali; dal 2015 a oggi, anni “segnati dall’esplosione della crisi e dalla sua soluzione”. Proprio in quest’ultimo lasso di tempo la Vigilanza ha scoperto che Popolare Vicenza “non aveva dedotto dal patrimonio di vigilanza finanziamenti ‘baciati’ per circa 500 milioni”. Grazie ad altre verifiche, “le azioni finanziate vennero complessivamente ricostruite in circa 1,1 miliardi” e furono contabilizzati “ulteriori 1,3 miliardi di rettifiche”. Per Veneto Banca, invece, i finanziamenti “baciati” non dedotti dal patrimonio di vigilanza erano pari a circa 300 milioni. “Emersero poi – ha proseguito Barbagallo – ulteriori 56 milioni di operazioni simili che vennero in seguito all’ispezione anch’esse interamente dedotte”. Riguardo l’attività di vigilanza ha poi aggiunto che l’articolo 7 del Testo unico bancario “impone che tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Banca d’Italia in ragione della sua attività di vigilanza siano coperti da segreto d’ufficio. Ciò impedisce alla Vigilanza di rendere note al pubblico le proprie valutazioni sugli intermediari vigilati”.
L’INADEGUATEZZA DEL MANAGEMENT
In sostanza, ha concluso il funzionario di Via Nazionale, “le criticità emerse per le due banche venete sono riconducibili, in ultima istanza, all’inadeguatezza del loro governo societario e, in tale ambito, all’autoreferenzialità del management. Queste debolezze – ha sottolineato – si sono innestate su una situazione resa precaria da una recessione dell’economia assai profonda, di ampiezza mai sperimentata in tempo di pace. Prestiti erogati con leggerezza o in conflitto di interessi hanno contribuito al deterioramento della qualità del credito, dopo gli effetti della crisi, portando i due intermediari in ‘prossimità al dissesto’”.
PER UNA GOVERNANCE PIU’ SANA
Per evitare che in futuro si verifichino casi analoghi, Barbagallo ha ricordato i progressi fatti grazie alla riforma delle popolari che “consente tra l’altro un controllo più incisivo del management da parte della base sociale e del mercato”. Altro “positivo passo” è l’attribuzione dal 2015 a Palazzo Koch del “potere di rimozione degli esponenti aziendali e quello connesso di esprimere il gradimento sugli organi amministrativi neo-nominati”. La Vigilanza, ha rimarcato Barbagallo, può svolgere “un’azione continua di controllo, stimolo e intervento, anche sanzionatorio, sul fronte del rischio di credito” e contenere così “i fenomeni di cattiva erogazione del credito” stesso che però non si possono evitare “soprattutto in presenza di crisi economiche e di comportamenti fraudolenti del management”. Qualche critica poi ai tempi della giustizia civile, i cui ritardi “incidono pesantemente sulla crescita dello stock di crediti deteriorati”. Se i tempi di recupero fossero la metà, si dimezzerebbe pure la quantità di Npl.