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Elezioni Sicilia, ecco come la Regione è diventata un ufficio di collocamento

La Regione Sicilia, più che un ente locale, è un gigantesco ufficio di collocamento, che negli anni è stato utilizzato per assumere lavoratori, sopperendo con risorse pubbliche alla mancanza di lavoro nel settore privato. Non lo dice un militante padano nostalgico della Lega Nord dei primordi: lo dice la stessa Corte dei Conti di Palermo nella relazione allegata al bilancio della Regione del 2016, pubblicata lo scorso luglio.

UN ESERCITO DI DIPENDENTI

La Regione è pronta ad andare al voto il prossimo 5 novembre e versa in una situazione finanziaria disastrosa. Nella sua relazione, che può leggersi come un vero e proprio “j’accuse” ai vari governi isolani, la Corte non si concentra soltanto sulle spese per il personale, ma analizza anche bilanci, indebitamento, spesa sanitaria. In generale, la magistratura contabile fa il punto su decenni di mala gestione dell’ente, e sottolinea che il problema del personale è il più clamoroso. Qualche numero? I dipendenti, al 31 dicembre 2016 erano 15.439 unità. Cioè quasi un quarto (il 23%, per la precisione) di tutti i dipendenti regionali di ruolo d’Italia. Per i dirigenti va ancora peggio: più di uno su tre, in Italia, lavora per la Regione Sicilia. Per di più, i “capi” sono troppi: c’è un dirigente ogni 9 dipendenti, a fronte di una media nazionale di uno su 14.

REGIONE O UFFICIO DI COLLOCAMENTO?

Si dirà che la Sicilia è una regione autonoma e quindi ha esigenze diverse. È vero solo in parte. Per la Corte il punto è un altro: “Il settore pubblico è stato piegato, attraverso un uso distorto delle politiche assunzionali, a supplire all’incapacità del tessuto produttivo di assorbire la forza lavoro espressa dalla regione”. Insomma per anni la filosofia siciliana è stata questa: poiché i cittadini non trovano lavoro nelle aziende, li assumiamo in Regione. A spese di tutti e non solo dei siciliani, considerato che lo Stato versa alla Sicilia più di quanto non ottenga.

Ma come è stato possibile che la Regione si trasformasse in un mastodontico datore di lavoro? In teoria, le assunzioni pubbliche dovrebbero essere regolamentate da concorsi e definite sulla base di necessità reali. In Sicilia (per carità, anche altrove) non è stato così. Per la Corte c’è stata negli anni “la chiusura delle opportunità di reclutamento attraverso le ordinarie procedure concorsuali e meritocratiche, sostituite da lunghi e complessi percorsi di stabilizzazione del personale precario, con il conseguente innalzamento dell’età anagrafica del personale e un’inevitabile frattura generazionale, oltre all’evidente vulnus dei valori costituzionali che regolano l’accesso al pubblico impiego”. Insomma, pochi concorsi e poca meritocrazia: si entrava in Regione precari con procedure “complesse”, per poi confidare di sistemarsi nel tempo. E, molte volte, riuscendoci.

Ecco un esempio di ciò che è potuto succedere: la Regione nel 2016 ha tentato di inserire nel ruolo unico dei dirigenti privi di incarico, da cui la Regione stessa poteva attingere, gli ex dipendenti delle società Italter/Sirap, che avevano contratti con la protezione civile ed erano finite in liquidazione. Un tentativo che si è recentemente schiantato contro il parere della Corte Costituzionale, ma che rende bene il modus operandi che per anni è stato adottato nell’isola.

I COSTI PER IL PERSONALE

Ma quanto costano i dipendenti regionali? Lo si evince dal bilancio di previsione 2017-2019. Nel 2016 la spesa per gli stipendi ammontava a 522 milioni e 517 mila euro, a cui si aggiungono 191 milioni e 752mila euro di oneri sociali, 609 milioni e 54mila euro di trattamento pensionistico e 78 milioni e 339mila euro di trattamento accessorio. Totale 1 miliardo e 400 milioni.

Ma attenzione, nel computo bisogna considerare anche una fetta consistente che comprende il personale del Corpo forestale regionale (quasi 6.500 elementi), quello degli uffici periferici del Dipartimento regionale dello sviluppo rurale (16.500, corso 253 milioni) e quello delle partecipate (7.100, costo 257 milioni). Poi ci sono i consorzi e agenzie regionali, alle cui spese di personale la Regione contribuisce: parliamo, solo nel 2016, di altri 118 milioni di euro.

LE PARTECIPATE

Nelle partecipate risulta ancora più macchinosa una verifica del personale e della sua effettiva utilità. Lo dice la Corte, evidenziando come la legge di stabilità approvata nel 2017 abbia introdotto una deroga al divieto di assunzione di personale per le società regionali. “L’autonomia decisionale delle società appare orientata a favorire il reclutamento di personale senza l’esperimento di selezioni pubbliche (…) introducendo un percorso di mobilità del tutto peculiare e atipico rispetto a quanto previsto dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”.

SPESE IN (LENTO) CALO

In un quadro che nel complesso appare desolante, emerge anche un dato positivo, probabilmente l’unico: la spesa complessiva per il personale della Regione sta calando. Ma l’ottimismo è presto stemperato dalla Corte dei Conti: malgrado nell’ultimo anno si sia assistito a “una repentina accelerazione del processo di progressiva riduzione della spesa per il personale, l’aggregato resta a livelli non fisiologici rispetto al quadro generale”. Insomma, la Sicilia costano meno di prima, ma costa comunque troppo. La Corte riconosce quantifica il calo dei costi per il personale: 163 milioni di euro nel 2016, il 10% su base annua, e rileva come questo calo “acceleri sensibilmente nel 2016”. Però attenzione: è vero che nel corso degli ultimi cinque anni la Sicilia ha ridotto il suo personale del 14%, ma questo è avvenuto soprattutto perché molti dipendenti sono andati in pensione.

LA SPESA PER LE PENSIONI

Infatti, a ben guardare, la contrazione della spesa non è tanto dovuta a politiche messe in atto dall’amministrazione quanto piuttosto, scrive la Corte “alle misure eccezionali di pre-pensionamento, che determinano però un impatto in termini di spesa pensionistica”.

Sul fronte pensioni, la collettività paga un prezzo salatissimo per le colpe della Sicilia. La Regione, per esempio, ha attuato con gravissimo ritardo il passaggio dal sistema retributivo al contributivo. Gli enti pubblici lo hanno adottato nel 1993, ma nell’isola il cambiamento è stato recepito solo dieci anni dopo, nel 2003, e per di più in modo parziale. Tanto che, scrive la Corte, le misure messe in atto“fino al 2015 (l’anno della riforma definitiva, ndr) apparivano ancor più insufficienti alla luce della riforma Fornero”. La verità è che per anni, in Sicilia, non ci si è preoccupati del domani. “Appare evidente – sentenzia la magistratura contabile – come il sistema presentasse delle forte criticità e come la spesa previdenziale fosse indubbiamente insostenibile già nel breve periodo”.

Poi, nel 2015, è venuta la riforma che ha consentito “un radicale mutamento di prospettiva che potrà portare nel medio periodo, benefici consistenti”. Insomma la Corte lascia intendere che, anche durante il mandato di Rosario Crocetta (in foto) un percorso di risanamento è stato avviato, ma è ancora troppo poco. Di certo, il costo-monstre del personale è solo uno dei guai che il prossimo governatore della Sicilia (uno fra Nello Musumeci, Giancarlo Cancelleri, Fabrizio Micari, Claudio Fava e Roberto La Rosa) dovrà affrontare a partire dal prossimo 5 novembre.

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