Sull’approvazione delle politiche di remunerazione di presidenti e amministratori delegati nelle società quotate, l’Italia è in pole position in Europa. Per intenderci nelle assemblee italiane, quando si tratta di votare i compensi di componenti degli amministratori esecutivi, sostanzialmente quelli con deleghe, il numero dei voti a favore è tra i più altri del Continente. Segno forse di politiche accorte e di un buon dialogo con gli azionisti. I dati europei sulla remunerazione degli amministratori esecutivi, elaborato da Morrow Sodali, dimostrano un buon posizionamento del Ftse Mib, che si piazza immediatamente dopo il Ftse 100, tradizionalmente punto di riferimento e best practice in termini corporate governance.
Nel dettaglio, sul listino londinese (Ftse 100) la società che ottiene il livello di supporto più elevato è Fresnillo con il 99,9% dei voti favorevoli da parte degli azionisti mentre la meno performante è Person dove oltre il 60% degli azionisti hanno votato contro il pacchetto remunerativo di John Fallon, il quale nella scorsa stagione aveva ricevuto un aumento del circa 20% a fronte di cattivo andamento della società
Nonostante il buon piazzamento del listino di Milano, evidenziato dagli analisti di Morrow Sodali, il supporto degli azionisti nel Ftse Mib è complessivamente sceso dal 91,5% del 2016 all’88,1% del 2017, frutto di scelte maggiormente restrittive sulle tematiche di remunerazione da parte dei proxy advisor e di alcuni tra i principali investitori.
Si pensi ad esempio che Blackrock, facendo seguito alle proprie linee guida emanate a gennaio 2017 sull’executive compensation, ha adottato un approccio molto più restrittivo votando in senso contrario o astenendosi sulle politiche di remunerazione in oltre il 35% dei casi.
Guardando però all’interno del nostro mercato la società con il consenso più elevato è certamente Poste italiane con 99,3%, seguita da Saipem con il 98,3%, mentre il gradino più basso del podio spetta a Bper con il 98,2%.
Sul risultato di Poste ovviamente incide fortemente la presenza dell’azionista pubblico che detiene oltre il 64% del capitale sociale, infatti epurando il dato dall’azionista di riferimento (supporto minoranze azionarie) la prima società per consenso sulle politiche di remunerazione sarebbe Bper.
Per una volta i tedeschi sembrano non brillare. Il peggior risultato tra i peers euorpei è infatti quello del DAX 30, nel quale tuttavia non esiste un obbligo di sottoporre le politiche di remunerazione all’approvazione assembleare degli azionisti, con la conseguenza che la soglia del 69% si basa sui risultati raggiunti da 8 società, tra le quali la più performante e Deutsche Bank con un supporto del 96,8% e la meno performante è Pro Sieben con un supporto assembleare pari al 33,2%.
Dalla complessiva analisi emergono alcuni spunti interessanti:
-la presenza di un voto vincolante sulle politiche non incide sul livello di approvazione, anzi nei Paesi che adottano il voto vincolante/consultivo il voto binding conduce ad una percentuale di approvazione superiore, frutto probabilmente di una maggior responsabilizzazione dell’azionariato.
-nel Ftse Mib, Ibex35 e Dax30 il miglior risultato in termini di supporto è raggiunto da banche, frutto della rigida normativa bancaria
-la componente comune delle società meno performanti è la presenza di un azionista di riferimento
-nel Ftse Mib, nel Cac40 e nell’ibex35 nessuna società ha ricevuto il rigetto delle politiche di remunerazione nel corso del 2017 , differentemente da quanto accaduto nel Ftse100 e nel dax30
-nell’indice più performante (Ftse100) soltanto il 22% delle società ha ricevuto un supporto inferiore al 90% da parte degli azionisti. Dato molto diverso quello del Ftse Mib dove il 47% delle società superano la soglia del 90%.