Grazie principalmente alle attività del Centro per la Musica Romantica Francese a Palazzetto Bru Zane a Venezia, alle sue collaborazione nazionali ed internazionali ed alla sua pregevole collana editoriale, il romanticismo francese è molto noto in Italia. A ragione, principalmente, degli sforzi dell’Accademia di Francia a Villa Medici ed ai suoi festival di musica contemporanea, anche lo sperimentalismo francese è molto conosciuto.
La prima parte del Novecento musicale d’Oltralpe è poco eseguita. E, quindi, poco nota al grande pubblico. Lo stesso “gruppo dei sei” (Darius Milhaud, Arthur Honegger, Francis Poulenc, Germaine Tailleferre, Georges Auric e Louis Durey), un circolo che cercò d’innovare la musica francese negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale è noto principalmente per alcune opere per il teatro e per il contributo dato alla musica da film più che per la grande sinfonica e la concertistica in genere.
Dunque, è stata un’ottima idea quella dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di offrire un’antologia della musica francese della prima parte del Novecento, affidando un programma interamente dedicato alla Francia e ai suoi compositori più amati, quello che ha visto insieme il pianista Jean-Yves Thibaudet e l’Orchestra e il Coro dell’Accademia di Santa Cecilia, diretti da Stéphane Denève in un concerto replicato venerdì 24, sabato 25 e domenica 26 novembre. Dato che le date coincidevano con il Black Friday, l’Accademia di Santa Cecilia non ha perso l’occasione per offrire al pubblico l’opportunità per tutte e tre le date di regalarsi un concerto sinfonico a un prezzo speciale, con lo sconto del 50% sui biglietti di platea e galleria.
Il programma non comprendeva nessuno del “gruppo dei sei” e della loro “musica oggettiva” ma ha offerto un’antologia ancora più vasta e diversificata. Sul podio Stéphane Denève, habitué delle stagioni di Santa Cecilia.
In apertura di programma una delle prime opere di Jacques Ibert, compositore eclettico e raffinato che è stato anche un buon amministratore nelle vesti di direttore dell’Opéra Comique e della sede dell’Accademia di Francia a Villa Medici a Roma. Escales è una suite per orchestra scritta a Roma negli anni Venti del Novecento quando era borsista in quella Villa Medici, di cui divenne direttore in un differente stadio della sua carriera, rappresentata con grande apprezzamento di pubblico nel 1924. Escales è un taccuino d’impressioni di un viaggio lungo il Mediterraneo in cui il compositore descrive i “colori sonori” di tre importanti scali marittimi, quello della tratta Roma-Palermo, quello di Valencia e Tunisi-Nefta, la città oasi alle porte del Sahara. Riflette l’amore di Ibert per il Mediterraneo che diversi anni dopo lo porteranno a comporre le musiche del film Macbeth di Orson Welles, noto per le sue traversie e, per quanto girato in California, ambientato in una Scozia molto mediterranea.
Restiamo sempre nel Mediterraneo con il secondo brano: il Concerto n. 5 “Egiziano” composto nei pressi del Tempio di Luxor nel corso delle frequenti vacanze in Nord Africa di Camille Saint-Saëns, in cui è stato solista una delle star del pianoforte, Jean–Yves Thibaudet, pianista di fama internazionale dalla personalità artistica multiforme e sfaccettata, specialista del repertorio francese. Articolato nella consueta struttura in tre movimenti della tradizione classica, il Quinto Concerto prende l’avvio con l’Allegro animato in fa maggiore 3/4, ove la prima idea viene enunciata dal solista in un’atmosfera fluida e trasparente sui pizzicati degli archi che, a loro volta, quando riprendono questo tema, sono accompagnati da una fitta gamma d’ornamenti e d’arpeggi del pianoforte. In un clima cullante fa poi la comparsa la seconda idea in re minore, essa pure intonata dal solista con atteggiamenti melodici più capricciosi che conducono l’andamento musicale, secondo una continua progressione, ad un vertice d’esaltazione lirica, ove si coglie, tra i cromatismi, qualche analogia con la celebre aria “Mon coeur s’ouvre à ta voix” del Samson et Dalila. Altrettanto ben costruito appare lo sviluppo sia negli scambi e contrasti drammatici sia nell’evoluzione in dialoghi polifonici del materiale motivico. Simmetrica è poi la ripresa, con il gioco delle modulazioni che riporta alla tonalità d’impianto, mentre all’assenza della cadenza sembra supplire la coda, ove il solista è in primo piano nel ricordare principalmente il secondo tema.
Sul carattere del secondo movimento, Andante in re minore in 3/4, c’è un’esplicita puntualizzazione di Saint-Saëns: “Domina qui l’eco d’una sorta di viaggio in Oriente, e l’episodio in sol evoca un canto d’amore nubiano che una volta ho udito intonare dai battellieri sul Nilo e che, per l’assenza d’un foglio di carta, annotai sul mio polsino inamidato”. Nell’andamento nettamente rapsodico s’impongono gli elementi di natura descrittiva e pittoresca, nella fantasiosa animazione coloristica, magari “d’un Egitto un po’ convenzionale d’un’animatissima via del Cairo in un giorno di fiera, con i canti monotoni di qualche popolano, i timbri malinconici di strumenti folclorici, la sensuale frenesia di danze millenarie, il tutto però visto con un colpo d’occhio occidentale” (Cortot). Tra i singolari effetti fonici di questo tempo si colgono interessanti echi di gamelan al pianoforte con risonanze armoniche di quinta, impiego di cadenze imperfette, di gradi alterati, oltre all’evocazione di melopee d’origine più moresca che egiziana e l’incidenza di un motivo secondario affidato all’oboe e ripreso poi dal pianoforte nell’abile gioco melodico tra le due mani sulla tastiera. Una turbinosa cadenza del solista si raccorda infine alla ripresa del moto ritmico iniziale per spegner poi ogni sonorità negli arpeggi sognanti d’una conclusione in pianissimo.
Il terzo movimento, Molto allegro, impone all’attenzione il prevalente suo incedere virtuosistico, dominato dal solista, con una carica vitalistica estroversa su cui s’innestano singolari sprazzi melodici. All’ampia enunciazione del primo soggetto subentra nella tonalità di sol maggiore la seconda idea, proposta inizialmente dall’orchestra. Nell’articolato sviluppo, nel serrato confronto dialogico tra il pianoforte e l’orchestra, nell’effervescente progressione ritmica e nel sagacissimo gioco imitativo, si esalta la maestria della scrittura strumentale di Saint-Saëns. Da ultimo vi è la ripresa della sezione iniziale secondo lo schema sonatistico, con l’aggiunta di numerose varianti pianistiche al materiale motivico originario, sino alla verve scatenata della coda, siglata da un vero e proprio tourbillon di crepitanti ottave.
È un lavoro di grande spessore che è stato eseguito magnificamente tanto che Jean–Yves Thibaudet, a grande richiesta del pubblico, ha concesso un bis di un piccolo brano.
Nella seconda parte il programma prosegue con il trittico sinfonico per orchestra e coro femminile Trois Nocturnes di Claude Debussy e si conclude con la Suite n. 2 dal balletto. Due brani abbastanza noti e per questo motivo meno interessanti degli altri due. I notturni di Debussy sono un esempio di impressionismo. Francamente di Daphnis et Chloé di Maurice Ravel preferisco il balletto completo ad una sintesi.
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