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Facebook e Twitter minacciano la democrazia? La domanda (e le risposte) dell’Economist

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“Lontano dai riflettori, i social media stanno diffondendo veleno”, afferma l’Economist nel suo ultimo numero. “In una democrazia liberale, nessuno ottiene esattamente quello che vuole, ma ognuno ha ampiamente la libertà di condurre la vita che desidera”. Tuttavia, in mancanza di informazioni attendibili, educazione e pace sociale, le persone riducono le loro differenze ricorrendo alla coercizione, a scapito della libertà di tutti.“Facebook, Twitter e Google avrebbero dovuto risparmiare almeno la politica – dice il settimanale britannico – perché in questo ambito una buona comunicazione evita sempre i pregiudizi e le falsità, che possono essere molto pericolosi quando sei disposto a tutto pur di ottenere voti”.

“La crisi finanziaria del 2007-2008 ha alimentato la rabbia delle persone più povere nei confronti delle ricche élite privilegiate e le battaglie culturali hanno diviso gli elettori in base all’identità piuttosto che alla classe”, aggiunge l’Economist. In questo clima, i social media e i canali televisivi hanno polarizzato il dibattito politico e la loro capacità di influenzare le nostre scelte è stata sottovalutata da molti. I social media possono selezionare foto, notizie e annunci da mostrare a ogni singolo utente in modo personalizzato e questo diventa uno strumento molto potente per chi vuole fare campagna elettorale – lo abbiamo capito anche in Italia. La potenza di questo strumento è superiore a ogni forma di pubblicità tradizionale: “Uno studio ha scoperto che gli utenti dei paesi più ricchi toccano i loro telefoni 2.600 volte al giorno”.

I SOCIAL MEDIA POLARIZZANO IL DIBATTITO POLITICO

“Negli Stati Uniti, dagli anni Novanta, ha preso piede la politica del disprezzo”, racconta il settimanale. “I fatti hanno iniziato a essere raccontati senza alcuna base empirica e il sistema ha offerto ancora meno spazio per l’empatia; le persone sono risucchiate quotidianamente sui social media in un vortice di falsità, pazzie, scandali e oltraggi”. Questa è la causa che spinge molte persone a perdere di vista ciò che conta per la società che le circonda. “Sarebbe meraviglioso se un tale sistema di condivisione delle informazioni aiutasse la verità a salire in superficie – commenta con un velo di amarezza l’Economist – ma purtroppo accade il contrario”. Facebook in sostanza favorisce un utilizzo compulsivo del social media e tende a rafforzare le preoccupazioni delle persone.

Dopo lo scandalo delle interferenze russe nelle elezioni americane, gli stessi americani hanno finito per attaccarsi l’un l’altro. “Anche in Ungheria e in Polonia le informazioni che circolano sui social contribuiscono a sostenere uno stile di democrazia illiberale”, fa notale il settimanale. “In Myanmar, dove Facebook è la principale fonte di notizie per moltissime persone, le informazioni sui social hanno contribuito all’aumento dell’odio verso i Rohingya, vittime di una terribile pulizia etnica”. In effetti, anche in Sud Africa, in Spagna e in tanti altri paesi la politica sta diventando sempre più brutale e i social media non sono utilizzati per stimolare un dibattito rispettoso basato su informazioni attendibili. “Diffondendo sentimenti come la tristezza e la paura, si lascia spazio a posizioni sempre più partigiane, polarizzate e intolleranti”, ammonisce l’Economist. “Si influenza così la decisione dei votanti e aumenta la possibilità di ingannarli”. Non molto tempo fa Facebook in primis aveva promesso una politica più illuminata per arginare le fake news, con l’obiettivo di aumentare i controlli su internet.

SOCIAL MEDIA E RESPONSABILITÀ SOCIALE

“Che cosa si deve fare?”, si domanda il settimanale. “Le persone si adatteranno, come sempre”. Un sondaggio di questa settimana ha scoperto che solo il 37% degli americani si fida delle notizie che riceve dai social media, gli altri confidano più nei giornali tradizionali. Tuttavia, nel tempo necessario per adattarsi alcuni governi potrebbero fare ancora molti errori. Si chiede agli editori di essere responsabili di ciò che appare sulle loro piattaforme. Il Congresso americano vuole trasparenza su chi paga per gli annunci politici. “Molti chiedono di considerare i social media come monopoli e di intervenire legalmente, ma smembrare i giganti dei social media non aiuterà il discorso politico – anzi, moltiplicare il numero di piattaforme, potrebbe rendere più difficile la gestione dell’industria”, mette in guardia l’Economist.

Dunque, il rischio per la democrazia deriva dal fatto che la politica non è come tutto il resto. “È pericoloso chiedere a una manciata di grandi aziende di considerare ciò che è sano per la società – dice la rivista – ma ci sono altri rimedi”. Per esempio, Facebook potrebbe rendere più chiaro se un post proviene da un amico o da una fonte attendibile, oppure potrebbe accompagnare la condivisione di un post ricordando di prestare attenzione alla disinformazione. Se i bot sono spesso usati per amplificare i messaggi politici, Twitter potrebbe bloccare i peggiori bot o contrassegnarli come tali. “Si può discutere di tante possibili soluzioni – conclude l’Economist – ma poiché questi cambiamenti vanno contro un modello aziendale destinato a monopolizzare l’attenzione, potrebbe essere necessario e urgente ricorrere all’imposizione di una legge”.


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