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La strage di New York, Guantanamo e la carta verde

New York

Nel giorno di Halloween, che richiama le streghe e gli zombie per divertimento, l’America ha scoperto un mostro vero, autore della più grave sfida di terrorismo dopo quella dell’11 settembre. E sempre a New York, sedici anni dopo le Torri Gemelle.

Del ventinovenne che, al volante del solito camioncino contromano su una pista ciclabile di Manhattan, ha ucciso otto innocenti ferendone altri quindici, si sa ormai quasi tutto. Sayfullo Saypov, l’uzbeko ferito e catturato dalla polizia, era da sette anni negli Stati Uniti. Regolare e con famiglia, autista di mestiere, cioè in apparenza persona integrata nella generosa società americana, che attira il mondo per la sua capacità di dare un’opportunità a tutti.

Eppure, quest’uomo s’è radicalizzato proprio lì, tra l’Ohio, la Florida e il New Jersey. Ha pianificato il suo delitto con cura, ha agito in nome dell’Isis, rivelano gli inquirenti. Che hanno anche trovato nel camioncino un biglietto scritto a mano in arabo, dove si inneggia allo Stato islamico “che durerà per sempre”.

Dunque, non un raptus di follia, ma una consapevole e ideologica volontà di falciare la gente e di rivendicare la strage. Allo stato l’uzbeko sarebbe un lupo solitario, “animale”, l’ha chiamato il presidente Trump. Augurandosi che venga spedito e rinchiuso nella prigione di Guantanamo. “Basta con il politicamente corretto nel rispondere al terrorismo”, ha detto. Aggiungendo che chiederà al Congresso di porre fine alla storica lotteria della carta verde.

È uno strumento che mette a disposizione l’agognato documento – un permesso di soggiorno permanente per lavoro – per consentire a cinquantacinquemila cittadini non americani ogni anno di farsi una vita negli Stati Uniti. Se n’è valso anche il terrorista nel 2010, ecco perché Trump ora chiede l’abolizione del meccanismo.

Anche in Europa le reazioni sono state durissime, ogni volta che le sue città sono state insanguinate dal terrorismo fai da te o da cellule organizzate. Ma la risposta europea non ha mai confuso il dovere di colpire gli attentatori, e di prevenire la loro violenza, con la chiusura di frontiere “a prescindere”. Distinguere il grande male del terrorismo dalla grande speranza di chi arriva da altre nazioni per far bene nel nuovo Paese, è la forza della democrazia. La speranza è proprio la bandiera del mondo libero. Non la si deve ammainare mai.

(Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)


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