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Tutti i conti di Intesa Sanpaolo, che cosa sale e che cosa scende

intesa, vicenza

Meno banca tradizionale e più wealth management company. In estrema sintesi è questa la tendenza che emerge dai risultati dei nove mesi che ieri Intesa Sanpaolo (+ 0,28% a 2,85 euro) ha presentato al mercato. Nel periodo, oltre la metà del risultato corrente lordo è arrivato proprio dall’attività di gestione (private banking, assicurazioni, wealth management e asset management), mentre il corporate e investment banking ha contribuito per il 25% e la Banca dei Territori per il 23%.

IL MARGINE DI INTERESSE

L’evoluzione è già in atto da tempo per contrastare la debolezza strutturale del margine di interesse (sceso nei nove mesi del 3,2% a 5,37 miliardi, al netto delle due banche venete), dovuta ai tassi zero. Le commissioni nette, al contrario, sono balzate del 6,4% a 5,64 miliardi, limitando la flessione dei proventi operativi netti, scesi dell’1,2% a 12,63 miliardi. Vale peraltro la pena ricordare che la performance dei nove mesi delle commissioni è stata migliore nella storia del gruppo.

IL RISPARMIO GESTITO

Il risparmio gestito è insomma il motore della crescita per Intesa, come dimostrano i dati sui flussi netti che nei nove mesi hanno sfiorato 15 miliardi, mentre a settembre le masse complessive hanno toccato la cifra imponente di mille miliardi. Scendendo lungo il conto economico, i costi sono rimasti stabili a 6,34 miliardi, ma la crescita dell’utile netto (+5,7% a 2,47 miliardi) ha migliorato il cost/income che è sceso al 50,2%, toccando i minimi a livello europeo. I profitti, peraltro, sono stati compressi per circa 640 milioni dagli oneri riguardanti il sistema bancario come quelli per il fondo di risoluzione o per Atlante. In assenza di questi costi straordinari, l’ultima riga del conto economico avrebbe toccato 3,12 miliardi.

L’ATTIVO

Buone notizie vengono anche dalla qualità dell’attivo: il flusso lordo trimestrale di crediti deteriorati da bonis è sceso a 990 milioni, il valore più basso dalla nascita del gruppo, mentre le rettifiche si sono attestate a 646 milioni, contro i 737 milioni del secondo trimestre 2017 e i 917 milioni del terzo trimestre 2016. La schiarita, però, non farà rallentare il processo di derisking gestito dalla Capital Light Bank di Giovanni Gilli: tra il 2017 e il 2019 lo stock di crediti deteriorati lordi sarà ridotto di circa 16 miliardi, di cui 4,5 miliardi sono già stati neutralizzati nel corso di quest’anno. Con questa manovra Intesa , che pure non teme effetti dall’Addendum Bce sulla contabilizzazione dei nuovi flussi, punta a raggiungere un’incidenza dei deteriorati lordi sul totale crediti in linea con i valori pre crisi, ovvero al 10,5% nel 2019 contro l’attuale 12,8%.

IL PATRIMONIO

Finora, comunque, la pulizia dell’attivo non ha penalizzato i requisiti patrimoniali visto che il Cet1 è al 13,4% e l’eccesso di capitale rispetto ai requisiti regolamentari è di 12 miliardi, risultati molto apprezzati dagli analisti finanziari. «Il Cet1 ha sorpreso in positivo e ha battuto le attese», hanno commentato gli esperti di Jefferies all’agenzia MF-Dow Jones. Intesa ha inoltre confermato l’impegno a distribuire 10 miliardi di dividendi cash nell’arco del piano di impresa, un impegno che si traduce in una cedola da 3,4 miliardi sui conti 2017. «Confermiamo come priorità strategica la remunerazione degli azionisti in maniera consistente e sostenibile, con una distribuzione di 10 miliardi di dividendi nei quattro anni del piano in corso», ha dichiarato l’amministratore delegato Carlo Messina (nella foto). In attesa del nuovo piano atteso per febbraio, resta aperto il cantiere per l’integrazione delle due banche venete, rilevate da Intesa in condizioni molto critiche. Basti pensare che i soli asset in bonis trasferiti sui libri della banca hanno costi al doppio dei ricavi e un risultato corrente lordo su base trimestrale negativo per 100 milioni.

(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)



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