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Uomini e donne, una giornata per ripensarci

Il muro della vergogna che a Roma la Casa Internazionale delle Donne ha allestito al suo interno è agghiacciante. Dispone, allineati e incolonnati, i nomi di tutte le donne uccise dalla violenza degli uomini, e la circostanza in cui il delitto si è prodotto.

Fa impressione, eppure va visto. Perché ci fa capire che siamo davanti a un fenomeno paragonabile, per numeri, efferatezza, ricorrenza, solo alla violenza cieca del terrorismo.

In Italia abbiamo affrontato la “moda della violenza” degli Anni di Piombo lavorando su un tema che sarà utile riprendere per affrontare l’ecatombe dei femminicidi: il prosciugamento dell’acqua in cui nuotavano i terroristi. Significa che non si disarma una mano se non si crea un quadro contestuale complessivo che rifiuta la cultura violenta. Un principio che vale ancor di più quando la violenza viene rivolta contro le nostre donne, mogli, madri, figlie, sorelle.

In questo, finite le manifestazioni e i cortei, deve farsi valere una presa di coscienza forte da parte di noi maschietti. E’ necessaria e urgente una presa di coscienza collettiva dell’universo maschile, un impegno quotidiano a tenere rigorosamente fuori non la sola violenza (non andrebbe neanche detto) ma il microclima in cui possono proliferare i batteri che poi si trasformano in virus.

Partiamo dalle cose semplici. Cambiamo abitudini. Usiamo rispetto. Evitiamo mani lascive e sguardi inopportuni. Mettiamo al bando gli aggettivi, gli epiteti, gli apprezzamenti poco garbati. Cerchiamo di fissare qualche paletto in più nel comportamento sul tram, sul lavoro, in strada. A cena fuori, nel dopocena. In discoteca e al pub. Stabiliamo quel che non va più tollerato, ridefiniamo lo standard della civile convivenza. Isoliamo chi si comporta male con una donna, perché con ogni probabilità si comporterà male in molti altri ambiti. Prosciughiamo davvero l’acqua di coltura in cui troppo a lungo ha ristagnato la subcultura maschilista e machista, e le troppe storture che vi hanno trovato spazio.
C’è molto lavoro da fare, ancora. In tutta Italia, forse un po’ di più nella provincia del Mezzogiorno, dove quella subcultura si è radicata più a lungo. Dobbiamo diventare tutti – noi uomini – testimonial di questa silenziosa ma risoluta battaglia.

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