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La Chiesa, Francesco e la fede. Parla monsignor Ladaria (prefetto della Congregazione per la dottrina della fede)

“La Chiesa e il magistero di Francesco trattano la fede con un nuovo slancio dello spirito, in quanto essa non può essere chiusa, ma al contrario bisogna sempre proseguirla. Sempre bisognerà quindi approfondire la nostra fede, e sempre Dio apparirà più grande e misterioso: più conosciamo la sua grandezza e più ci avviciniamo al suo mistero”. Sono le parole espresse da monsignor Luis Francisco Ladaria, l’arcivescovo spagnolo subentrato nel luglio scorso al cardinale Gerhard Ludwig Müller nel ruolo di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, durante la presentazione del libro edito dalla Lev “Dal chiodo alla chiave. La teologia fondamentale di Papa Francesco” (pagg. 160, 10 euro), che si è svolta mercoledì 13 dicembre alla Pontificia Università Gregoriana, a Roma.

L’INTERVENTO DI MONSIGNOR LADARIA

“La fede nasce dalla preghiera, dal rapporto con gli altri e dalla comunione nella Chiesa. E la teologia si fa in ginocchio, come spiega Francesco. Per questo la preoccupazione del Papa è il chiodo: se la teologia ha un senso è perché ci permette di entrare nel cuore di Dio. Il buco del corpo ci fa entrare nel mistero del cuore, come diceva San Bernardo: apre alla comunione della carità e della verità. E il modo di Francesco è intuitivo più che esplicativo, induttivo più che deduttivo, fedele all’insegnamento della tradizione e con lo sguardo nel presente e nei nostri contemporanei”, ha affermato ancora il prelato. Dal momento in cui ha ricevuto il suo incarico di prefetto dell’ex Sant’Uffizio, Ladaria non ha fatto molte uscite pubbliche, anzi: le sue interviste sono rare, e il suo volto sui mass media altrettanto. Ma arrivando per la presentazione del libro alla Gregoriana, dove è stato nominato ordinario nel lontano 1984 e ha insegnato per numerosi anni, al punto che la professoressa Michelina Tenace, nel presentarlo, ha avvisato gli studenti dicendo “ecco, finalmente vedete che mons. Ladaria esiste veramente, non è solo il nome di un manuale!”, è stato lungamente applaudito. Lui ha risposto con il sorriso stampato in volto, con atteggiamento benevolo e cordiale, oltre che visibilmente commosso, precisando però che “i miei attuali impegni non permettono di dedicarmi molto alla teologia, purtroppo”. E che ultimamente si è “aggiunto anche un problema di salute”.

LE CITAZIONI DI BENEDETTO XVI E FRANCESCO

Nel pronunciare la sua relazione, il prefetto ha messo subito tutti in guardia intimando di non aspettarsi “grandi discorsi”. Così ha citato due passaggi magisteriali in particolare, uno di Benedetto XVI, in cui si affermava che “il teologo non è il soggetto della teologia, ma lo è Dio, che non è mai oggetto ma soggetto”. E che “chi vuole considerarlo oggetto non potrà mai conoscere la verità”, perché a dirla tutta “la teologia in senso stretto è soltanto la Scrittura Sacra”. In quanto “il maestro della teologia è prima di tutto un lettore della parole, uditore, ascoltatore, che non mette sul candelabro la sua sapienza e intelligenza”. E in seguito uno di Francesco, il paragrafo n.36 della Lumen Fidei, in cui si spiega che “la fede è luce e ci invita a esplorare meglio l’orizzonte per conoscere ciò che amiamo”. E che “il soggetto credente è la Chiesa, mentre la teologia è al servizio della fede dei cristiani, soprattutto dei più semplici”, in quanto “il magistero non è un limite alla libertà ma un contatto con la fonte originaria”. “Ho letto questi due testi perché sono più belli e più profondi di quanto io potessi escogitare. Vi ringrazio per il vostro ascolto”, ha poi concluso, con espressione gioiosa, il prefetto.

IL LIBRO “DAL CHIODO ALLA CHIAVE. LA TEOLOGIA FONDAMENTALE DI FRANCESCO”

Il libro presentato è un volumetto, non troppo ampio, che comprende interventi di nove docenti della Gregoriana, sei gesuiti e tre donne, in cui l’intento è di approfondire le problematiche classiche della teologia fondamentale a partire dalla prospettiva di Papa Francesco, e di confrontarsi con il suo insegnamento sulla fede. “Il chiodo serve per chiudere, la chiave per aprire, e la vocazione della teologia è di aprire al mistero di Dio”, ha così spiegato il titolo la professoressa Michelina Tenace, dicendo che il termine è stato usato dallo stesso Bergoglio durante una conferenza in cui affermò che “la teologia fondamentale è come un chiodo da succhiare”. Dove nell’occasione, dopo aver domandato se “la nostra teologia riscalda il cuore?”, il pontefice spiegò che “c’è un modo invece di fare teologia che chiude e rende aridi”. Un pensiero cioè “chiuso, che prende dai libri ciò che dovrebbe prendere dalla vita”, e che questa è “una teologia che può fare ammalare”. “Il teologo deve essere un uomo di fede e un testimone della ricerca di Dio, capace di dialogare con uomini. Comunicare con Dio è preghiera, mentre farlo con gli uomini è carità”, ha così commentato la docente.

GLI INTERVENTI DEI NOVE DOCENTI NEL TESTO

All’interno del saggio ogni professore tratta di una tematica che gli compete dal punto di vista accademico, e che lo ha toccato rispetto a quanto espresso finora dal pontificato di Francesco. Così sono emersi temi come le parole usate da Bergoglio, il senso del popolo nel suo magistero, l’orizzonte aperto sul futuro, l’importanza delle immagini e dei gesti, carichi di contenuti teologici. Passaggio, quest’ultimo, fondamentale per Francesco, che nelle immagini e nei gesti esprime veri contenuti della sua predicazione, allontanandosi dall’idea di una teologia “fatta di soli concetti”. E la Gregoriana, università dei padri Gesuiti ed erede del Collegio Romano fondato da Sant’Ignazio di Loyola, di fatto cerca di porsi in un orizzonte adiacente alle parole di Bergoglio, approfondendole dal punto di vista accademico. “Noi per tanto tempo nella Chiesa abbiamo separato teologia ed etica, dottrina e prassi, ma questo sono i due cammini dell’essere in Cristo. Se muovo soltanto un piede non avanzo, e non c’è dottrina senza condotta cristiana e nemmeno viceversa. La teologia non esprime idee su Dio ma quel Dio che è parte integrante della vita della Chiesa”, ha infine spiegato il nuovo direttore della Lev, il teologo francescano Giulio Cesareo.

LE PAROLE DEL DIRETTORE DELLA LEV FRA CESAREO

“Il magistero del Santo Padre è molto di più del semplice insegnamento dottrinale: la sua guida in persona è per tutti noi esperienza in sequela di discepolato. Seguiamo il pastore visibile, il Santo padre, per seguire quello invisibile, il Cristo”, ha continuato. “Non è un rivendicare all’autonomia personale, ma al fatto che la nostra fede è sempre mediata, come dice anche Romano Guardini. Una ruota in cui stando con gli altri si insegue il tutto. Il magistero del Papa perciò non può essere ridotto a un discepolato ideologico, ma è uno stile ecclesiale. Che non è quello del Papa regnante, ovvero solo un tema, una modalità di comunicazione o un linguaggio rispetto a un altro”, anche se “il modo e il tropos di vivere non è un accidente o un dettaglio ma l’espressione della vita che ci abita”. Ma è invece l’idea che “noi, anche se molti, siamo un corpo solo, siamo sinergia. Non un’unione meccanica ma la libera adesione gli uni gli altri per amore, è questa l’unica vita della Chiesa”. Luogo in cui, ha concluso, “l’unica realtà ad essere esclusa è l’esclusione”.

 

(Photo credits: Paolo Pegoraro – Gregoriana Press Office)


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