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Ilva e dintorni, la lezione di Calenda e Landini (che non si candidano)

Isiamed

Nelle ore in cui, fra l’altro, il Congresso americano approva una imponente riduzione delle tasse, le Nazioni Unite discutono sulla scelta di Gerusalemme capitale di Israele (e sede dell’ambasciata americana), in Italia si lavora a una finanziaria (non si può chiamare Legge di bilancio) che contiene misure le più diverse in un clima di irresponsabile campagna elettorale. A conferma del fatto che delle sorti delle nostre industrie importa mediamente molto poco a chi siede in Parlamento, le vicende emblematiche di Tap e, ancora in queste ore, di Ilva. Bastano poche parole per esprimere lo sgomento per una politica che si mostra incapace di governare conflitti che trascendono l’umana comprensione.

Il Pd vive la crisi di esprimere tutte le posizioni in campo, da Calenda a Emiliano. Il centrodestra, da Berlusconi a tutte le sue gambe (compreso il pugliese Raffaele Fitto), sembra neanche sia all’opposizione. Perchè infilarsi in queste polemiche se già Palazzo Chigi è prenotata?

Discorso non diverso vale per il Movimento 5 Stelle che o agita la piazza o fa finta di nulla. Un disastro non banale. Oltre a Carlo Calenda, e a Claudio De Vincenti, l’unica voce che ha scelto di parlare chiaro è quella del segretario della Fiom, Landini, che ha invitato il presidente della Regione Puglia ad un atteggiamento di responsabilità istituzionale ritirando il ricorso che rischia di far chiudere l’Ilva. Il fatto che si tratta di persone che non saranno candidate alle elezioni fa riflettere. E alimenta un certo senso di antipolitica.



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