Su Marte si andrà dopo aver consolidato la nostra presenza sulla Luna. Parola di Roberto Vittori, astronauta Esa, attualmente space attaché presso l’Ambasciata italiana negli Stati Uniti con alle spalle ben tre viaggi a bordo della Stazione spaziale internazionale. Intervistato da Airpress, Vittori ha spiegato cosa si nasconde dietro la “Space Policy Directive 1”, la direttiva con cui Donald Trump, ieri, ha riorientato le priorità della Spazio americano puntando tutto sul ritorno dell’uomo sulla Luna.
Da dove nasce la scelta di puntare sulla Luna rispetto al focus che l’amministrazione precedente aveva riservato al Pianeta Rosso?
Occorre fare prima una premessa. Oggettivamente, c’è stato un cambio significativo all’interno dell’impostazione dell’aerospazio negli Stati Uniti che si è concretizzato in tre elementi. Primo, la riattivazione del National Space Council al livello di vice presidente, cosa che ormai conosciamo bene. Il Consiglio si è già riunito una volta e rappresenta, a livello organizzativo, formale e sostanziale, un cambiamento importante. Secondo, quello che succede nel mondo dell’interlocutore spaziale americano che conosciamo meglio, la Nasa. Il fatto più rilevante in questo senso è l’assenza di un amministratore, la cui nomina, dopo vari tentativi, è arrivata (ndr, si tratta di Jim Bridenstine) ma non ancora ratificata. Il terzo elemento riguarda invece l’annuncio di ieri: gli Stati uniti guardando alla Luna come prossimo passo, sebbene comunque propedeutico per raggiungere Marte. Da questi tre elementi, la prima conclusione che può essere tratta è che la nuova amministrazione ha un forte interesse per lo spazio, superiore al mondo della Nasa in sé per sé, e inserito prevalentemente all’interno delle dinamiche della Casa Bianca.
Ma davvero Trump ha stravolto l’ordine delle priorità spaziali americane?
L’annuncio di ieri fa nascere, ovviamente, legittime domande in tal senso. In realtà, non si può prescindere da una considerazione fisica: la Luna dista 380mila chilometri dalla superficie terrestre mentre per Marte si parla di milioni di chilometri. Se si percorre una scalinata, è ragionevole fare un gradino alla volta e, invece, non è raccomandabile saltare direttamente sul pianerottolo. Personalmente non ho dunque mai capito il significato di parlare dell’esplorazione marziana senza il precedente consolidamento di destinazioni a noi più vicine, tra cui per l’appunto la Luna. Per la Stazione spaziale internazionale, a 400 chilometri dalla superficie terrestre, è successa la stessa cosa: abbiamo consolidato la nostra presenza in vent’anni di assemblaggio dal 1998. Il passo successivo è indiscutibilmente la Luna.
La “Space Policy Directive 1” non è quindi una vera e propria novità?
Più che una novità da parte della Casa Bianca mi sembra un prendere atto di un approccio pragmatico e concreto, e di un’evidenza fisica. Non ha senso parlare di esplorazione di Marte senza aver consolidato la nostra presenza sul nostro compagno di viaggio. Personalmente, dunque, non sono stato sorpreso dalla posizione americana.
Dall’annuncio di ieri è emersa la preoccupazione che il presidente Trump stia tentando di applicare allo spazio extra-atmosferico il principio del “make America great again”, rilanciando una corsa allo spazio competitiva. È d’accordo?
La domanda riguarda quanto dell’annuncio sia cooperazione e quanto, invece, ambizione. Credo che lo spazio sia come un’olimpiade: un evento internazionale di grande cooperazione in cui, in realtà, si compete e che vinca il migliore. L’esplorazione è frutto di uno sforzo cooperativo ma, in ogni caso, c’è una componente di orgoglio nazionale o di comunità. Perciò, non vedo come negativa l’ipotesi che, nella decisione di ieri, ci sia un retrogusto di orgoglio nazionale da parte dell’amministrazione americana. Certamente, la cooperazione internazionale è positiva e ha avuto un ruolo importantissimo, ma ogni medaglia ha due facce e ogni sforzo fatto in cooperazione porta dei costi. La cooperazione è stata, è e sarà fondamentale, ma il punto è dove implementarla, dalla partenza all’arrivo sulla Luna.
Può spiegarci meglio?
È possibile cooperare nel costruire un sistema propulsivo per andare sulla Luna, oppure si può ipotizzare una cooperazione una volta che si è arrivati. Si tratta in entrambi i casi di una cooperazione, ma su fasi successive. Personalmente, ritengo che con la maturazione tecnologica che abbiamo raggiunto sia eccessivamente complicato e dispendioso ipotizzare forme cooperative che partano dalla base. Credo sia più ragionevole pensare ad avviare cooperazioni una volta che saremo arrivati su una ipotetica base lunare. Proprio per questo, anche se ci fosse un ritrovato orgoglio nazionale nell’annuncio di Trump, ciò non preclude l’ipotesi di cooperazione, né rappresenta un elemento preclusivo nei confronti degli altri partner.
La scelta di puntare sulla Luna potrebbe essere stata determinata dal tentativo di convergere sugli obiettivi dell’industria americana?
Sì e no. Anche nell’ipotesi marziana l’industria comunque lavorerebbe. Il fatto è che dare priorità alla Luna rappresenta un approccio pratico e pragmatico. In questo, il principale interesse dell’industria riguarda lo Space launch system (Sls), un lanciatore sopravvissuto attraverso tre presidenti che, tecnicamente e tecnologicamente, farebbe fatica a decollare ma che è comunque destinato a farlo. Da questo approccio industriale occorre poi scindere l’interessi dei privati, come Elon Musk e Jeff Bezos, singoli individui che hanno messo risorse sul tappetto per creare start up poi diventate dei veri giganti. Anche per loro, in ogni caso, è più facile ragionare sulla Luna. L’unico a sbilanciarsi su Marte era stato Musk, che ora però si trova in un momento di riflessione sia per ritardi su Falcon Heavy (che avrebbe dovuto effettuare a novembre il primo volo, poi posticipato al 2018, ndr) sia perché una missione su Marte richiede minimo sei mesi di percorrenza, per andare e per tornare, con difficoltà tecniche, tecnologiche e logistiche assolutamente non trascurabili.
In questo senso, il riorientamento predisposto da Trump non allunga i tempi per il raggiungimento del Pianeta rosso?
In realtà lo facilita. Come dicevo prima, saltare sul pianerottolo è più difficile che fare un gradino alla volta. Luna è vicinissima ed è una grande opportunità. Tutte le tecnologie che saranno impiegate per raggiungerla saranno poi propedeutiche per missioni di esplorazione marziana.