Sarà dipeso dalla stessa radice piemontese, ma leggendo l’acuto libro di Mario Baudino “Lei non sa chi sono io”, interessante perla della Bompiani mi è venuto in mente, quasi come una colonna sonora, il lavoro musicale di Paolo Conte “Una faccia in prestito” .
Con una faccia imprestata
Da un altro, che se ti fa comodo
D’altra parte vorresti la tua
Da offrire a quel pubblico,
Che ti guarda come a Carnevale
Si guarda una maschera,
Ma intanto sa che tu
Non sei così…
Il libro di Baudino è avvincente e ci fa entrare nell’universo (letterario) dell’uomo e il suo doppio. Una lettura gustosa che ci mostra l’altra faccia di chi scrive, quasi rifugiandosi in un “sosia” ; e qui torna ancora la voce roca di Conte “quando si è il sosia di qualcuno si ha molta curiosità”
Nelle pagine si compie un curioso viaggio nella letteratura, partendo dal 600 che non a caso è il periodo cartesiano. E allora come non pensare al Cartesio di Baudino ormai punto di riferimento per i lettori amanti delle avventure culturali in forma saggia e arguta.
Peraltro l’autore riesce a ribaltare una tipica espressione arrogante con una quasi ammiccante che nasconde un mistero degno della migliore espressione dell’evocazione letteraria. Nomi che si celano e che abbiamo letto un migliaio di volte e pur sapendo il “codice segreto” ancora oggi ci stupiamo di fronte al genio e all’invenzione.
La differenza tra chi lascia intuire un volto, chi dimentica ogni tanto di coprirlo e chi si prepara uno scudo è piuttosto importante quando si affronta la grande foresta degli pseudonimi. La maschera può proteggere l’anonimato oppure diventare lo strumento per un gioco di illusioni.
E’ di sicuro uno dei libri migliori attualmente in circolazione proprio per la sua capacità di raccontarci i volti nascosti dentro pagine immortali. Ascoltare la voce di un autore e riconoscerlo in tanti. Un travestimento che rimanda alla commedia degli equivoci ma anche per certi versi alla commedia dell’Arte con questo gioco di ruoli e di “maschere”. O semplicemente per dire da “sconosciuti” ciò che si vorrebbe dire da noti. E’ davvero un gioco di specchi. E anche in questo caso torna in mente il Conte di Rebus, quasi un tempo enigmistico che separa la finzione della realtà, celando dietro le parole messaggi o stati d’animo. Ecco allora che il “gioco” diviene trovata e con essa la scommessa di essere e apparire al tempo stesso. Geniale, come geniale è l’idea di Baudino per questa ricognizione che ci lascia senza fiato come un “giallo” non solo letterario, ma anche sulla vera personalità di un autore.
A fine lettura si potrà capire che, forse, per soldi, per snobismo, per scaramanzia, per marketing di se stessi, per non dispiacere qualcuno, per amore. Per moltissime ragioni, nel corso della storia, scrittori e poeti hanno cambiato i loro nomi scegliendo di firmarsi con gli pseudonimi con i quali sono poi passati alla storia. Da Carlo Collodi (all’anagrafe Lorenzini) ad Alberto Moravia (nato Pincherle), da Joseph Conrad a Pablo Neruda, da Teofilo Folengo a Voltaire, da Umberto Saba a Pessoa a Romain Gary – nato Roman Kacew, morto dopo aver vinto un secondo premio Goncourt con un romanzo firmato Émile Ajar – fino all’immancabile Elena Ferrante.
Il libro mantiene le promesse e Mario Baudino trascina il lettore in un’avventurosa ricognizione delle cause e delle conseguenze umane e letterarie della scelta di uno pseudonimo. Circostanza presente anche nel mondo più o meno sensato dei social, dove per alcuni digitare è meglio di essere.
Ma questa è un’altra storia che racconterà, forse, chi tra un ventennio osserverà basito quante maschere si sono formate nel microcosmo del web tra poca letteratura e molto uso e getta.