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Manovra, perché Bruxelles ci critica

“Tutti possono vedere dai numeri come la situazione in Italia non migliori”. “I conti dell’Italia non stanno migliorando”. “L’Italia è l’economia più creativa d’Europa” ma “se si guarda alla crescita storica, e la si paragona con le altre, dai primi anni ’90 è sempre sotto la media Ue e questo gap è qualcosa che dobbiamo colmare”. Mentre in Parlamento si discute la legge di bilancio – che il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan definisce “solida, utile al Paese e conforme alle regole” – quasi ogni giorno arrivano parole poco confortanti dal vicepresidente della Commissione europea, Jyrki Katainen. Sempre da Bruxelles era giunta una lettera a fine ottobre in cui si chiedevano chiarimenti sui conti pubblici del nostro Paese ed è stata invece rimandata alla prossima primavera una nuova valutazione della conformità dell’Italia al parametro per la riduzione del debito, secondo quanto è scritto nella missiva inviata alle autorità nazionali dal commissario per gli Affari economici Pierre Moscovici e dal vicepresidente della commissione Valdis Dombrovskis.

Alle critiche di Bruxelles ha cercato di dare una risposta Luigi Paganetto, presidente della Fondazione Economia Tor Vergata e docente della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, in uno studio dedicato alla manovra 2018. “Non sappiamo quale sia l’origine delle critiche – scrive – anche perché bisogna dar atto al Governo, al netto della navigazione della legge in Parlamento, che, nelle condizioni date, era assai difficile far di più”. Del resto, evidenzia Paganetto, “la lettura del Documento di lavoro della Commissione europea sull’Italia, a margine del semestre europeo, evidenzia le molte preoccupazioni sull’evoluzione della nostra economia che influenzano il clima prevalente a Bruxelles sull’Italia nel medio periodo. A ciò si aggiungono le preoccupazioni per una manovra che è sì di portata limitata ma, per fortuna, a carattere non elettorale anche se rischia di cambiare nel percorso da fare in Parlamento fino all’approvazione”.

QUADRO DELLE ECONOMIE UE NEL 2017

Secondo le stime di autunno della Commissione Ue il Pil dell’area euro nel 2017 cresce del 2,2%, il livello più elevato degli ultimi 10 anni, e l’insieme delle economie europee (euro e non euro) sale al 2,3%. Nella parte alta della classifica ci sono Irlanda (4,8%), Romania (4,4%), Repubblica Ceca (4,3%) e Polonia (4,2%); in quella bassa Belgio (1,7%), Grecia e Francia (1,6%), Regno Unito e Italia (1,5%). Per il nostro Paese una buona notizia rispetto allo 0,9% dello scorso anno, pure se rimane indietro rispetto alla media Ue.

Notizie meno buone arrivano invece dal fronte della disoccupazione, all’11,3% (nel 2007 era al 7%), tenuto conto di quel che succede in Germania (3,7%) e negli altri Paesi del Nord e dell’Est con tassi tra 4 e 6% (Ungheria, Regno Unito, Olanda, Polonia, Austria, Romania, Danimarca, Svezia). Ci superano soltanto Bulgaria (16,4%), Spagna (17,4%) e Grecia (21,8%). Altro punto dolente è il debito pubblico, che in Italia è al 132,1% contro valori compresi tra il 34,6% della Repubblica Ceca e il 69,9% dell’Irlanda. Peggio di noi fa solo la Grecia con il 179,6% e si avvicina il Portogallo con 126,4%. Il deficit pubblico, anche se non è stato ridotto nella misura desiderata da Bruxelles, nel 2017 è pari al -2,1% che rappresenta, comunque, un miglioramento rispetto al 2016 (-2,5%). Da segnalare qui ancora una volta le performance di Romania (2,5%) e Repubblica Ceca (1,2%).

LE VALUTAZIONI UE SULL’ITALIA

Sul nostro Paese le principali conclusioni del Rapporto della Commissione evidenziano come la crescita della produttività resti debole e rallenti la correzione degli squilibri macroeconomici. Una affermazione vera, secondo Paganetto, che sottolinea pure come “la crescita della produttività totale presenti un andamento piatto dalla fine degli anni ’90”. Bruxelles nota poi come il debito pubblico elevato rimanga una notevole fonte di vulnerabilità e come i rischi per la sostenibilità a medio termine siano elevati a causa di un avanzo primario strutturale previsto solo all’1,3% del Pil nel 2018, nell’ipotesi di politiche invariate. Di conseguenza, secondo la Commissione Ue, potrebbero profilarsi rischi quando l’attuale politica monetaria accomodante sarà gradualmente ridotta. In questo, il docente del secondo ateneo romano la vede invece diversamente “se, per valutare la rischiosità, si considera anche il debito implicito”. C’è poi il problema disoccupazione visto che, nonostante il graduale miglioramento del mercato del lavoro, restano alte sia quella di lunga durata sia quella giovanile. Peraltro, aggiunge Paganetto, “la maggior parte dei Paesi ha già recuperato i livelli precedenti”.

Brutte notizie vengono anche dagli investimenti, colpiti fortemente dalla crisi visto che nella nostra penisola hanno subito un calo più accentuato rispetto alla maggior parte degli Stati Ue. E ciò – rileva l’economista genovese – anche in presenza di un divario di profittabilità ridotto rispetto alla media della zona euro. Infine, una nota che dovrebbe inorgoglirci ma che allo stesso tempo ci carica di responsabilità. Data la sua importanza sistemica, segnala la Commissione europea, la nostra economia è una fonte di potenziali ricadute sul resto dell’area della moneta unica. “È una conclusione particolarmente importante – evidenzia Paganetto – che testimonia il clima di opinione di Bruxelles sull’economia italiana”.


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