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La Nasa tra la Luna e Marte

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L’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, il futuro della Stazione spaziale internazionale (Iss) e la scoperta delle onde gravitazionali. La Nasa riflette sui prossimi passi dell’esplorazione spaziale nella New space economy, un contesto in cui la collaborazione internazionale e la partecipazione degli attori privati sono irrinunciabili. Ne abbiamo parlato con Colleen Hartman, vice direttore per Scienza, operazioni e performance presso il Goddard space flight center della Nasa, uno dei maggiori laboratori scientifici dell’agenzia statunitense.

La più recente novità nel contesto istituzionale Usa riguarda l’introduzione del National space council. Quale è la sua funzione?

Abbiamo già avuto in passato un National space council. La versione attuale ha un mandato molto simile: guidare le diverse entità del governo Usa nelle attività spaziali. Si tratta di un consiglio di alto livello, per il quale il presidente Donald Trump ha affidato la guida al vice presidente Mike Pence. Partecipano i membri chiave e gli amministratori delle varie agenzie governative impegnate nello spazio, i quali si incontreranno con regolarità per discutere la politica spaziale nazionale.

Quale impatto ha avuto la nuova amministrazione sulle priorità della Nasa? Il focus sembra essersi spostato da Marte alla Luna. È così?

Sicuramente c’è una variazione nella direzione. La precedente amministrazione parlava per lo più di andare su Marte, mentre la nuova sembra intenzionata a puntare sulla Luna, in modo comunque da potersi muovere successivamente verso il Pianeta rosso. Ad ora, c’è stato però un solo incontro del National space council. Quando tale organo intensificherà il dibattito, e quando sarà nominato il nuovo administrator della Nasa, allora si avranno sicuramente maggiore dettagli a tal proposito.

Passando alla cooperazione internazionale, come sono percepite dalla Nasa le capacità spaziali italiane?

La Nasa è estremamente soddisfatta della collaborazione con l’Agenzia spaziale italiana (Asi) e con l’Italia. La nostra è una storia che dura da molti anni, a iniziare dal San Marco fino all’odierna missione ExoMars, passando per le missioni in giro per il Sistema solare e l’universo, tra cui anche la missione Juno, con i suoi incredibili risultati, alla scoperta di Giove. In tutto questo, trovo particolarmente affascinante il drill per ExoMars che l’Italia sta realizzando e che sarà connesso alla capacità analitica dello spettrometro di massa chiamato Mars organic molecule analyzer (Moma) sviluppato dal Goddard space flight center. Capace di perforare fino a 2 metri la superficie marziana, il drill rappresenta il sacro Graal del nostro prossimo passo su Marte. Sebbene abbiamo già scoperto tracce organiche sul Pianeta, il luogo in cui è più probabile trovare prove di una vita passata è sotto la superficie. Il dril costruito dall’Italia sarà per questo un sistema fenomenale, frutto di un processo impressionante in cui Esa, Italia e i loro partner, insieme alla Nasa, possono in qualche modo danzare, con l’industria e i governi, in modo unitario. E sono sicura che tanti scienziati Nasa guardano con grande attenzione il lancio di ExoMars e le conoscenze che ne deriveranno poiché ci permetteranno di capire molto della vita nell’universo. L’Asi gioca poi un ruolo fondamentale nella missione Nasa Dawn per l’osservazione degli asteroidi Cerere e Vesta, di recente estesa per la seconda volta. Tutto ciò è di grande ispirazione.

Di grande ispirazione è stata anche l’assegnazione del premio Nobel per la fisica alla scoperta delle onde gravitazionali. Cosa ne pensa?

La scoperta delle onde gravitazionali è sbalorditiva. Prodotte dalla collisione di due stelle di neutroni, e sebbene non facciano parte del nostro spettro elettromagnetico, tali onde sono state rilevate da strumenti a terra, tra cui l’interferometro Virgo, qui in Italia. Una scoperta per cui stavamo lavorando da trent’anni, che ha determinato la vittoria del premio Nobel e ha aperto un’intera nuova area di ricerca su cui, tra l’altro, stiamo cooperando con l’Esa nella missione Lisa (Laser interferometer space antenna). Nell’era spaziale, ciò testimonia come si possa lavorare insieme per conoscere dell’universo più di quanto non abbiamo fatto finora.

Grazie alla collaborazione Nasa-Asi, è potuto tornare sull’Iss l’astronauta italiano Paolo Nespoli. Quali sono i piani per la stazione orbitante?

Per quello che è il mio punto di vista – prettamente scientifico – l’Iss è ora situata in modo perfetto per realizzare lavori da premio Nobel, meglio di come abbia mai fatto in passato. Essere in grado di lanciare carichi utili sulla Stazione e di farci esperimenti è incredibile. Ci sono strumenti di prim’ordine, come l’innovativo sistema (ndr, il Nicer lanciato lo scorso giugno) per l’osservazione delle stelle di neutroni, fenomeni che hanno circa due volte e mezzo la massa del Sole nelle dimensioni di una città come Boston o Milano. Tale strumento è stato posto sulla parete esterna della Stazione attraverso un braccio robotico, al fine di immortalare le emissioni delle pulsar e capire le distanze dello spazio profondo, una sorta di Gps dell’universo. Si tratta di un altro fantastico passo in avanti tecnologico, realizzato in modo economico grazie alla possibilità di preparare un sistema, lanciarlo, realizzare i test e riportare a Terra i risultati scientifici immediatamente. Il tutto facilita lo sforzo di ricerca, garantendo un accesso allo spazio che riduce i tempi e permette di raggiungere grandi risultati scientifici.

Lei ha guidato l’iniziativa Nasa New Frontiers. Qual è la missione esplorativa a cui è più legata?

È un po’ come chiedere a una mamma a quale figlio voglia più bene. È comunque difficile non dire Cassini, ovviamente. La missione era in fase di sviluppo quando ho iniziato a lavorare alla Nasa, ed è stata segnata da una forte cooperazione internazionale che ha indicato il percorso su cui stiamo procedendo adesso. L’apporto fondamentale alla ricerca di vita nel sistema Solare e la partecipazione di partner solidi come l’Italia la rendono una missione unica.


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