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Le (poche) sorprese della Strategy di Trump spiegate da Stefano Silvestri

La Strategia di sicurezza nazionale di Trump ha conservato un tono da campagna elettorale, con ambiguità sui rapporti con Mosca e Pechino e una lettura piuttosto ideologica delle minacce. È quanto ha affermato ad Airpress Stefano Silvestri, consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali (Iai) e direttore editoriale di AffarInternazionali.

IL TONO DELLA STRATEGIA

Martedì scorso, il presidente Donald Trump ha presentato la National security strategy (Nss), documento che va a ridisegnare la proiezione internazionale degli Stati Uniti mettendo a sistema quanto fatto e annunciato nel corso di questo primo anno di presidenza. “Il tono è molto più da documento elettorale che da documento di strategia, anche se comunque nel complesso dice le cose che ci si aspettava”, ha detto Stefano Silvestri. Sicuramente, comunque, si percepisce “un equilibrio maggiore rispetto alle dichiarazioni estemporanee a cui ci ha abituato Trump”, fatto che lascia intendere che c’è stato un lavoro di sistematizzazione e “riscrittura tipico di questi documenti all’interno dell’amministrazione americana”.

POCHE SORPRESE

Nonostante la Strategia abbia organizzato quanto il presidente e l’amministrazione va dicendo da mesi, ci sono alcune sorprese. “Mi ha sorpreso il fatto che non venga citato l’Artico – ha detto Silvestri –, una regione in cui c’è una forte competizione” per via dei cambiamenti climatici che la renderanno sempre più rilevante nei rapporti globali. “Nel complesso, comunque, mi è sembrato un documento abbastanza scontato; la parte più innovativa è sicuramente l’insistenza sugli aspetti economici dell’America first più che su quelli puramente strategici e militari”. Su questi ultimi, ha aggiunto il direttore di AffarInternazionali, “la Strategia oscilla tra la tradizionale della volontà di mantenere la supremazia militare americana e l’incertezza se farlo da soli e con gli alleati”.

TRA MOSCA E PECHINO

L’Nss individua due potenze “revisioniste”, principali competitor nello scenario internazionale: Russia e Cina. “Il documento è abbastanza duro nei loro confronti; li descrive come due Paesi che hanno intenzione di diminuire la potenza americana e che vanno dunque affrontati come tali”, ha rimarcato Silvestri. D’altra parte, però, “si dice anche che, in alcuni casi, si può collaborare”. Se dunque, “la Strategia, da una lato, dà soddisfazione alla sponda tradizionale di riaffermazione della superiorità americana e di competizioni dure, dall’altro lascia la strada aperta a un approccio più collaborativo”. Proprio per questo, ha aggiunto, rispetto ad alcune descrizioni della National securiy strategy, “mi sembra esagerato definirlo un documento da guerra fredda; sicuramente è una strategia molto nazionalista, ma non più da Guerra fredda di tante altre”.

COREA DEL NORD E IRAN

Riguardo alle minacce contestuali, il documento individua invece tre sfide prioritarie alla sicurezza degli Stati Uniti: il terrorismo internazionale, la Corea del Nord e l’Iran. “È una visione limitata delle minacce internazionali e politicamente molto carica”, ha affermato Silvestri ad Airpress. Su Pyongyang “era inevitabile”, visti gli sviluppi recenti. “Ma mettere l’Iran, la Nord Corea e il terrorismo internazionale sullo stesso piano è forse un po’ azzardato, poiché si tratta di tre minacce completamente diverse l’una dall’altra”. Soprattutto la parte dedicata a Teheran è “probabilmente quella più ideologia”. Il Paese viene descritto come “una minaccia che opera per rovesciare i governi alleati degli Usa, gli elementi di stabilità e gli equilibri politici favorevoli a Washington”. Si afferma anche che l’Iran è “il primo finanziatore del terrorismo internazionali; due affermazioni non provate, né l’una, né l’altra”.

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