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Su Gerusalemme l’Europa ha sbagliato. Ma ora avanti nel processo di pace. Parla Ofer Sachs, l’ambasciatore di Israele in Italia

Alle Nazioni Unite l’Italia vota contro Trump e la sua dichiarazione che riconosce Gerusalemme capitale di Israele? “Un peccato”, dice l’ambasciatore di Israele in Italia, Ofer Sachs. Che in una lunga conversazione con Formiche.net, spiega i motivi della sua garbata contrarietà. L’Italia avrebbe fatto bene a seguire gli Stati Uniti, “il paese leader del mondo” e primo amico dello Stato di Israele. D’altronde, come ha sottolineato il presidente Usa nel suo annuncio del 6 dicembre, si trattava di “riconoscere l’ovvio”: ossia, come ricorda Sachs, che “Gerusalemme è la capitale dello Stato di Israele” sin dal 1949, che è lì che “i leader mondiali vanno ad incontrare gli esponenti politici israeliani. È dove gli ambasciatori vanno a fare i loro incontri al ministero degli Esteri, dove c’è il Parlamento, la Corte Suprema”.

Quello di Roma è un passo falso, perché lo allinea ad una istituzione che ha “da tempo perso credibilità” a causa del suo riflesso condizionato anti-israeliano, del suo “doppio standard”, dell’inspiegabile atteggiamento di certi suoi rami come l’Unesco, agente di boicottaggio di Israele più che agenzia di promozione della cultura mondiale.

Cionondimeno, l’Italia rimane un buon amico di Israele, con il quale tutt’al più è “d’accordo di non essere d’accordo” su questioni complicate come lo status della Città Santa. Contrariamente a quanto possa sembrare, Israele ha numerosi amici nel mondo. Tra questi, come riconosce l’ambasciatore, ci sono – in prospettiva – i paesi arabi. Che, in nome della comune preoccupazione per le mosse dell’Iran nel Levante, potrebbero far cadere la pregiudiziale anti-ebraica e inaugurare una stagione di cooperazione con Israele. E trovare una soluzione al nodo palestinese, su impulso dell’iniziativa di pace che la Casa Bianca si accinge a rendere nota l’anno venturo. “Israele desidera cooperare con gli americani al fine di raggiungere un autentico accordo di pace”, dice convinto Sachs.

Ambasciatore Sachs, Gerusalemme è la capitale di Israele dal 1949. Come spiega allora la condanna unanime del mondo della dichiarazione di Trump del 6 dicembre?

Penso che il presidente Trump non abbia detto nulla di controverso. Ha detto essenzialmente che Gerusalemme è la capitale dello Stato di Israele. Questo è un fatto che non è in discussione. Gerusalemme è dove i leader mondiali vanno ad incontrare gli esponenti politici israeliani. È dove gli ambasciatori vanno a fare i loro incontri al ministero degli Esteri, dove c’è il Parlamento, la Corte Suprema. Tutto questo comunque non pregiudica l’accordo finale concernente il conflitto israelo-palestinese. L’annuncio di Trump significa che la questione di Gerusalemme dovrebbe essere sul tavolo sin dal primo giorno. Questo è ciò che il popolo americano ha chiesto ai propri leader sin dai giorni di Bill Clinton, e Trump è stato il primo presidente a passare dalle parole ai fatti. Non penso che abbia fatto alcuna cosa radicale. Io voglio credere che la decisione di Trump, nel lungo termine, sarà considerata una buona mossa, perché ha cambiato una situazione che sfortunatamente nel passato non ha portato alcun frutto.

Al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, 14 paesi hanno votato la risoluzione che censurava la dichiarazione di Trump, costringendo l’ambasciatrice Usa Nikki Haley a porre il veto. Una situazione che si è ripetuta in Assemblea Generale, in cui 128 Paesi hanno condannato Trump. L’America è l’unica vera amica di Israele?

Penso che l’America sia senza alcun dubbio il miglior amico di Israele, ma non che sia l’unico. Israele ha molti amici nel mondo. Quanto alle Nazioni Unite, penso che abbiano da tempo perso credibilità. L’Onu ha mostrato varie volte il suo doppio standard in molte questioni controverse. Non c’è nulla di nuovo in questo. Io penso che l’Europa non abbia gestito appropriatamente la questione di Gerusalemme. Penso che sia un peccato che abbia votato in questo modo. Cionondimeno, alla fine in Europa continuiamo ad avere molti amici. Tra questi c’è l’Italia, nonostante abbia votato le risoluzioni su Gerusalemme. Credo che qualche volta tra amici sia normale avere delle dispute, e si possa essere d’accordo di non essere d’accordo.

Anche l’Italia ha votato al Consiglio di Sicurezza e all’Assemblea Generale le risoluzioni che dichiaravano nulla la dichiarazione di Trump. Se lo aspettava?

Non siamo stati sorpresi. Ma penso che l’Italia avrebbe dovuto votare diversamente. Penso che avrebbe dovuto seguire l’esempio degli Stati Uniti, che rimangono il paese leader del mondo. Ma se in questo caso non siamo d’accordo con la posizione italiana, in altri dossier abbiamo un rapporto stretto e produttivo.

L’ex primo ministro Matteo Renzi ha condannato l’antisionismo e il boicottaggio di Israele. Il presidente francese Macron ha fatto altrettanto. Come mai molti altri leader europei non seguono il loro esempio?

Penso che i vari leader europei facciano i propri calcoli. Alcuni non fanno simili affermazioni perché non hanno confidenza con l’argomento, altri non lo fanno perché altrimenti pagherebbero un prezzo. Matteo Renzi e Macron hanno fatto una valutazione e hanno deciso che era una cosa giusta da fare. Ma ricordo che altri leader europei sono andati ben oltre.

Lo Stato d’Israele è disposto a condividere con i palestinesi la sovranità su Gerusalemme?

Penso che l’unico modo per trovare una soluzione all’annosa disputa tra noi e i palestinesi sia condurre dei negoziati diretti. Per quanto ci riguarda, noi ci presenteremo a questi negoziati con tutte le opzioni sul tavolo e senza porre precondizioni. Questo è il modo con cui abbiamo risolto le nostre dispute con l’Egitto e con la Giordania. Spero che i negoziati diretti riprendano quanto prima perché sono interrotti da troppo tempo.

A gennaio la Casa Bianca svelerà il suo piano di pace sul conflitto israelo-palestinese. Israele è pronto a fare la sua parte?

Penso che gli americani abbiano un forte desiderio di portare dei fatti nuovi nel negoziato. L’amministrazione sta lavorando per portare al tavolo qualcosa che fino ad oggi non si era mai visto. Israele desidera cooperare con gli americani al fine di raggiungere un autentico accordo di pace con i palestinesi e con i paesi arabi. Lo abbiamo dichiarato molte volte. Difenderemo naturalmente le nostre linee rosse ma non vogliamo pregiudicare alcuna proposta che verrà da Washington. L’amministrazione Trump non sta lavorando solo con il primo ministro Netanyahu e con il presidente Abbas, ma anche con altri leader della regione. Penso che sia l’approccio giusto, perché bisogna far convergere l’intera regione verso questo processo.

Che ne pensa dell’avvicinamento dei paesi arabi, come l’Arabia Saudita, alle posizioni di Israele nel nome della comune preoccupazione per le mosse dell’Iran? Sono pronti ad allearsi con Israele? E Israele è pronto a fare altrettanto?

Direi che quando si tratta dell’Iran, Israele condivide lo stesso punto di vista dell’Arabia Saudita. L’Iran è il principale fattore di destabilizzazione nella nostra regione. È da anni che l’Iran si sta adoperando per creare un corridoio che connetta Teheran e Beirut. Lo fa finanziando organizzazioni terroristiche e sostenendo milizie armate che operano sul suolo siriano e libanese. Questo preoccupa molto sia noi che l’Arabia Saudita. Naturalmente l’Arabia Saudita guarda a questi sviluppi da un’angolazione particolare, quella del conflitto sunnita-sciita, ma la preoccupazione è comune. Io posso dire che ci sarà sempre più coordinamento tra i paesi moderati islamici e Israele, una cosa che sarà in parte riconosciuta pubblicamente e in parte rimarrà segreta.


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