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Pesco, ecco i punti (ancora) da chiarire dopo il via libera del Consiglio europeo

I capi di Stato e di governo dell’Unione europea si sono riuniti ieri a Bruxelles dando il definitivo via libera alla cooperazione strutturata permanente (Pesco) che ha così ricevuto l’endorsement politico più autorevole. “È rilevante che questo si faccia in un momento in cui c’è una domanda geopolitica di Europa molto importante nel Mediterraneo e in Africa”, ha detto il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. “È un giorno storico, perché dopo esattamente dieci anni dalla firma del Trattato di Lisbona stiamo realizzando una delle sue disposizioni”, ha affermato l’Alto rappresentante Federica Mogherini. La Pesco, ha aggiunto, è “una decisione storica che porta l’Unione a essere un fornitore di sicurezza globale”. Per il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk è “un’espressione pratica della nostra volontà di costruire una difesa europea: buone notizie per l’Ue e per i nostri alleati, cattive per i nostri nemici”.

LE TAPPE PRECEDENTI

Le conclusioni di eri fanno seguito alla decisione del Consiglio Esteri di lunedì scorso che ha sancito la nascita della Pesco sulla base della notifica congiunta siglata, lo scorso 13 novembre, dai ministri degli Esteri e della Difesa di 23 Paesi. In questo mese, il numero dei partecipanti è salito a 25, comprendendo anche Irlanda e Portogallo. Escludendo il Regno Unito (la Brexit sarà sul tavolo dell’incontro di oggi), restano fuori solo la Danimarca e Malta. Dal Consiglio di lunedì era inoltre arrivato l’apprezzamento per l’accordo politico raggiunto su una lista di 17 progetti la cui formale adozione è prevista per “la prima parte del 2018” sempre da parte del Consiglio dell’Ue. Tra questi, la creazione di un Comando medico europeo, la facilitazione della mobilità militare, l’istituzione di team per la Cyber rapid response e la possibilità (annunciata proprio ieri dalla Mogherini) di dispiegare battlegroup europei in teatri operativi.

ALCUNI PUNTI 

Nonostante i passi in avanti compiuti sulla difesa comune siano innegabili, restano alcuni punti da chiarire, tre su tutti. Il primo riguarda proprio la Pesco. Prevista dai Trattati dell’Ue, era stata rilanciata a settembre 2016 dall’incontro tra il ministro della Difesa Roberta Pinotti e i colleghi francese e tedesco, intenzionati ad approfittare dei risultati del referendum sulla Brexit per rimettere in moto l’integrazione nel campo della difesa che il Regno Unito aveva sempre osteggiato. L’idea, a quel tempo, era di istituzionalizzare la cooperazione nel settore tra pochi volenterosi, in modo da evitare gli ostacoli posti da un sistema decisionale che richiederebbe altrimenti l’unanimità tra 28 Stati (il settore della difesa è, infatti, totalmente affidato alla logica intergovernativa). Allora si parlava di cinque Stati, ma ora il numero è salito a 25, complice un contesto internazionale sempre più instabile, l’annunciato arretramento Usa e una proposta che evidentemente si è rivelata convincente anche a chi era più scettico (leggasi i Paesi dell’est Europa, per cui la Nato resta la prima garanzia di sicurezza). Nonostante l’adesione di ben 25 Stati rappresenti un segnale politico rilevante sulla tenuta dell’Unione e sulla natura inclusiva del processo (su cui l’Italia ha puntato molto), ciò rischia di rendere la Pesco piuttosto lenta nella sua attuazione, contrariamente a come era stata pensata inizialmente. Il testo adottato dal Consiglio di lunedì scorso prevede, infatti, che ogni decisione, compresa quella sui 17 progetti iniziali, sia adottata all’unanimità dai partecipanti alla Pesco.

LA QUESTIONE DEL RAPPORTO CON LA NATO

Il secondo punto da chiarire riguarda il rapporto con la Nato. L’Alto rappresentante Federica Mogherini ha reso la collaborazione con l’Alleanza il terzo pilastro del “pacchetto difesa” (gli altri due sono l’attuazione della Global Strategy e il Piano della Commissione), consapevole che solo rassicurando gli Stati membri orientali sulla convergenza tra le due organizzazioni sarebbe riuscita a ottenere un consenso ampio. Da qui, il continuo dialogo con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, che anche ieri ha incontrato i capi di Stato e di governo europei prima che si riunissero per la sessione pomeridiana. Da qui anche la lista di misure concrete su cui collaborare, 42 iniziali più altre 34 che si sono aggiunte di recente. Eppure, ora che la Pesco è realtà e che dovranno essere individuati programmi e modalità di realizzazione, occorrerà non poco lavoro per capire come essi interagiranno con gli assetti Nato. Ne è un esempio il settore della difesa aerea: “È una responsabilità specifica dell’Alleanza sotto il cui comando e controllo esistono già assetti e capacità”, aveva spiegato il generale Vincenzo Camporini, vice presidente dell’Istituto Affari Internazionali (Iai) ad Airpress. Una riflessione è dunque necessaria per evitare “duplicazioni o sovrapposizioni che sarebbero dannose”, ha aggiunto il generale già capo di Stato maggiore della Difesa.

CHI GUIDERA’ LA DIFESA COMUNE 

Il terzo elemento di complessità riguarda l’indirizzo complessivo del progetto europeo di difesa comune. L’accelerazione su questo tema ha rilanciato l’Unione europea dopo gli anni bui della crisi economico-finanziaria, ma ha anche fatto ripartire la competizione tra i Paesi membri per guidarne la leadership. Sulla difesa si stanno mettendo in campo importanti risorse (il Fondo voluto dalla Commissione prevede 500 milioni di euro all’anno dal 2021 per la parte research e 1 miliardo all’anno dopo il 2020 per la parte capability) su cui si gioca la partita. Da qualche mese, è emersa l’intenzione di Parigi e Berlino di trainare il progetto. L’Italia dovrà presto prenderne coscienza con decisione e reagire di conseguenza. Lo ha affermato di recente anche il ministro della Difesa Roberta Pinotti: “A volte le prese di posizione degli alleati (ad esempio sul nuovo caccia franco-tedesco, annunciato in pompa magna da Merkel e Macron a luglio, ndr) nascondono una lettura dei propri interessi e noi non dobbiamo essere da meno. Occorre procedere con il percorso della difesa comune, che è ineludibile, ma anche guardare all’interesse nazionale”. Lo stesso concetto il ministro lo ha ribadito proprio ieri a Palazzo Madama, di fronte alle commissioni riunite Esteri e Difesa di Senato e Camera. Per competere con le mire franco-tedesche, ha spiegato la Pinotti lanciando l’invito a qualsiasi governo uscirà dalle prossime elezioni, la prima necessità è tornare a investire nella difesa: “Una politica di difesa è una delle cose costituzionalmente fondanti di uno Stato”.


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