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Si scrive web tax ma si legge fallimento italiano

web tax

Con la pratica degli emendamenti (ma non dovevano finire in soffitta con la legge di bilancio) arriva in Italia un nuovo balzello chiamato web tax. Dal blitz di Mucchetti al Senato a quello di Boccia alla Camera cambia poco nel metodo e anche nella difficoltà di districarsi in un tentativo che sembra figlio più della volontà di intestarsi una battaglia per la campagna elettorale che della sincera volontà riformatrice.

La norma voluta dal Parlamento sembra inesorabilmente destinata a colpire in modo pesante le imprese italiane del web, rischiando di far aumentare i prezzi dei servizi digitali e rendere l’Italia ancor meno competitiva sul fronte della tecnologia. Una sentenza amara per un Paese che registra una delle più basse penetrazioni del digitale in Europa, un mercato di aziende tech mai diventato adulto e una costante carenza di investimenti crossborder.

Si registra il silenzio del governo e sorprende che non ci sia stata alcuna opposizione (siamo già alle larghe intese? Su quali basi? Interessante saperlo..). La mancanza di un confronto aperto e chiaro su questo argomento e sui suoi impatti reali rischia di non portare beneficio alla narrazione di un Paese digital friendly.

È passato nell’ombra anche un altro emendamento, targato PD, che rilancia di ben 9 mesi l’obbligo di fatturazione elettronica per gli acquisti tax free, a solo dieci giorni dalla prevista entrata in vigore e dopo due anni che questo progetto di fattura digitale B2C attendeva in cantiere, in barba alla pubblica amministrazione innovativa. Non solo, l’adeguamento della gestione di Poste sui pacchi e-commerce slitta addirittura al 2020.

Viene da chiedersi se sia serio per un Paese europeo come il nostro prendere decisioni chiave per la propria economia senza un coordinamento in sede UE e senza un adeguato dibattito parlamentare. Continuare a legiferare per finanziaria invece che con provvedimenti che abbiano una testa e una coda è il segno più triste di un malcostume che spiega bene le ragioni di un ancora diffuso discredito verso la politica italiana.

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