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Il simbolo del presepe e l’ecumenismo dell’indifferenza

Difficile, anche per un non credente, immaginare un segno di serenità più intenso di quello rappresentato dal presepe. Raffigurare la nascita di Gesù è molto più che tramandare una tradizione. Significa indicare una speranza per tutti, perché una nuova vita è sempre una nuova alba: donarla, accoglierla e condividerla con gioia prescinde da qualunque fede. Pur evocando, il presepe, la fede cristiana.

Perciò, la mozione che il Consiglio regionale del Veneto ha approvato per esortare, anche con finanziamenti, le scuole pubbliche a farlo, il presepe dimenticato, non deve e non può urtare la suscettibilità di nessuno. Il rispetto è nella forma stessa con cui la tradizione popolare, accompagnata da straordinarie opere di arte italiana e universale, ha da sempre raccontato l’evento. Il bambinello, la mangiatoia col bue e l’asinello, i pastori: una lontana e agreste idea di felicità che affratella.

Ma perché l’atto politico non diventi una sciocca ripicca ideologica nei confronti di quei presidi, insegnanti e persino sacerdoti che in tempi recenti hanno rinunciato a esporre uno dei simboli più cari al popolo italiano in nome di un ecumenismo senza valori -il finto buonismo dei veri indifferenti-, il Natale va riempito di riflessioni e di confronti, non solo di regali. Invece da tempo, e ben prima che dilagasse la polemica sul rapporto dei musulmani d’Europa con i principi occidentali, il Natale dei lustrini ha abolito il Natale del presepe. Come osserva Massimo Cacciari, sono proprio i cristiani, non altri, ad aver intrapreso questa strada buia, ancorché illuminata: il vicolo cieco del “festino”, senza più interrogarsi sul senso di una ricorrenza che da Duemila anni fa parlare e incontrare, dalla notte del 24, l’intero universo.

Ma questa ricorrenza è fonte della nostra storia e cultura: girarle le spalle, per pigrizia o per ignavia, vuol dire – avverte il laico Cacciari – mettere a rischio i valori della nostra civiltà. Per esercitare il dovere e il piacere di dialogare con altre religioni, i figli della tradizione occidentale devono essere consapevoli di se stessi. Quando si tende la mano a qualcuno, ci si presenta con nome e cognome. Non siamo figli di nessuno. Riscoprire le radici per rinverdirle e la memoria per arricchirla con le identità altrui. E viceversa, naturalmente.

La vita che nasce è il simbolo più bello e più forte che abbiamo. Il presepe cristiano è un fraterno omaggio all’umanità, di cui gli italiani possono essere orgogliosi.

(Articolo pubblicato da L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)

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