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Stravaganze digitali made in Italy. Luna denuncia, Calenda conferma

Isiamed

Chissà, forse per compensare la nuova tassa sul web definita dal deputato Pd Sergio Boccadutri un “autogol“, il Parlamento italiano ha voluto attribuire – regalare? – tre milioni di euro “per la promozione del modello digitale italiano​” a una società (IsiameD) che di innovazione si occupa, secondo le intenzioni, solamente da un anno (ma è attiva dal 1974) e che è guidata dall’ex ministro per i Rapporti con il Parlamento,​ Gian Guido Folloni.

Come altre misure a dir poco discutibili, anche questa è arrivata con un emendamento per iniziativa dei senatori Pietro Langella e Antonio Milo di Ala (Verdini), poi riformulato dai relatori Magda Zanoni del PD e Marcello Gualdani di Alternativa popolare. “Al fine di affermare un modello digitale italiano come strumento di tutela e valorizzazione economica e sociale del Made in Italy e della cultura sociale e produttiva della tipicità territoriale – si legge al comma 640 della legge di Bilancio – è assegnato un contributo pari a 1.000.000 di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020 in favore dell’istituto IsiameD per la promozione di un modello digitale italiano e i settori turismo, agroalimentare, sport e smart city”.

Prima di questa manovra, Folloni si era molto arrabbiato con le istituzioni, colpevoli di favorire le aziende straniere invece di quelle italiane. “Le istituzioni del nostro Paese hanno bisogno di un modello digitale italiano e indipendente”, aveva scritto appena qualche settimana fa​ il numero uno di IsiameD sulle colonne del Messaggero. “È stato fatto l’errore di aver confuso l’innovazione con l’ammodernamento informatico e adesso è arrivato il momento di ottenere un’indipendenza digitale, sia per gli importanti problemi di sicurezza che per assicurare la nostra identità nazionale”,​rimproverava al Parlamento. “In Italia, chi scrive i testi tecnici delle leggi non può essere chi per business le tecnologie le offre” si lamentava senza sapere che il legislatore avrebbe preparato una misura ad hoc per il suo istituto.

Ad accorgersi dell’emendamento è stata per prima l’agenzia stampa Agi che, con il suo direttore Riccardo Luna, ha chiesto via Twitter al ministro dello sviluppo economico di spiegare il perché di tre milioni di euro attribuiti senza bando per il digitale “made in Italy”. La risposta di Carlo Calenda, sempre su Twitter, non si è fatta attendere. “Emendamento parlamentare mai dato parere positivo. Non ho la più vaga idea di cosa sia. Mi sembra una roba stravagante, a dir poco”. Allo sconcerto del ministro si sono aggiunti sul social network molti commenti fra cui quello sconsolato del deputato Stefano Quintarelli che ha sottolineato che il sito di IsiameD “non c’è la privacy policy e nemmeno la partita iva (si presenta come “company”) quindi – conclude – non si riesce a capire chi sono i soci..”. E tocca alla giornalista del Tg1 Barbara Carfagna aggiungere il dettaglio – contenuto nel sito dell’azienda stessa – di una e-residenza estone.

Quando è troppo è troppo, verrebbe da dire ed in effetti il direttore dell’Agi proprio non la manda giù e dice “Siamo ai limiti dello scandalo, oppure c’è una spiegazione che non conosciamo e che ci daranno”. Il deputato di Forza Italia, Antonio Palmieri, ha buon gioco a rilanciare la palla nel campo della maggioranza del Pd e dei suoi alleati che l’emendamento lo hanno presentato e votato. Dagli interessati ovviamente nessuna risposta, almeno fino ad ora. D’altronde, dopo il danno della web tax, non poteva mica mancare la beffa. È il digitale made in Italy, bellezza.

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