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Perché l’aumento delle tasse sul tabacco sarebbe un autogol

fumatori, tabacco

Sembra assurdo, ma un nuovo colpo basso per le tasche dei consumatori si prepara ad essere sferrato. In sede di conversione del DL Fiscale, era stata depositata nei giorni scorsi, presso la Commissione Bilancio del Senato della Repubblica, una proposta emendativa (classificata 19.0.95) a firma dei Senatori Gualdani e Bianconi e il medesimo testo era stato duplicato negli emendamenti 5.022 (a firma del Senatore Santini) e 5.05 (a firma del Senatore Rizzotti). Tali proposte miravano tutte ad inserire un nuovo articolo (il 19-bis) finalizzato all’“adeguamento tecnico delle disposizioni in materia di tabacchi lavorati” – che, di fatto, introduceva un aumento delle tasse sulle sigarette di prezzo più basso. A seguito di un’analisi approfondita, tale proposta di riforma sistemica, presentata senza essere preceduta da una riflessione preliminare accurata, è stata ritirata dai firmatari.

Oggi, invece, la stessa proposta viene purtroppo ripresentata a firma dell’On. Alberto Giorgetti, che ha depositato presso la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati gli emendamenti 12.13 e 80.17; la medesima proposta è duplicata anche negli emendamenti 2.2 (Gianluca Pini), 8.68 (Calabria), 29-ter 9 (Ravetto), 40.73 (Russo), 92.6 (Franco Bordo, Albini, Melilla, Capodicasa, Cimbro). Analogamente, la proposta emendativa 41.0.36 alla Legge di Bilancio 2018 a prima firma De Biasi, presentata neanche un mese fa e e poi ritirata, prevedeva l’introduzione di una tassa di scopo di un centesimo a sigaretta per finanziare, almeno apparentemente, il fondo per l’acquisto di farmaci oncologici innovativi. Oggi, anche questa proposta viene ripresentata, nuovamente e sorprendentemente, seppure in altre forme, dalla Commissione Affari Sociali e dalla Commissione Lavoro (emendamento 4768/XII/1.8  a firma Carnevali, Amato, Argentin, Beni, Paolo Boldrini, Capone, Casati, D’Incecco, Gelli, Grassi, Mariano, Miotto, Patriarca, Piccione, Sbrollini, Piazzoni, Paola Bragantini; 4768/XI/1. 30, 32 e 34).

Pur perseguendo finalità diverse tra loro, tutti questi emendamenti suggeriscono modifiche sostanziali delle disposizioni in materia di tabacchi lavorati e presentano alcuni profili di preoccupazione, se non di autentico contrasto allo spirito e al dettato della normativa vigente in materia di fiscalità sui tabacchi.

In primo luogo, le perplessità sollevate circa l’effettiva capacità del mercato di sopportare l’ennesimo aggravio fiscale derivante dall’eventuale approvazione di simili emendamenti sono state confermate dai commenti degli organi tecnici (Ragioneria Generale, Ufficio Parlamentare del Bilancio, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli): un mercato in calo del 4% su base annua, caratterizzato da un’elasticità della domanda non più trascurabile, non potrebbe garantire un aumento di gettito, ma al contrario, avrebbe difficoltà ad assorbire lo shock fiscale, con conseguenze imprevedibili sulle entrate. In sostanza, secondo la maggior parte degli esperti del settore, le entrate non aumenterebbero ed il mercato illegale trarrebbe un giovamento inaspettato dall’aumento dei prezzi dei prodotti legali.

In secondo luogo, circa il ruolo delle tasse di scopo esiste una letteratura accademica sconfinata: il loro presupposto è che lo scopo sia chiaramente identificato e non modificabile, condizione quest’ultima che non sembra garantita dall’orizzonte temporale limitato degli emendamenti. Per giunta, questa volta, lo scopo è stato modificato prima ancora di esistere: era l’acquisto dei farmaci oncologici innovativi nella prima stesura degli emendamenti, è per il Fondo Sanitario Nazionale (come conseguenza del mancato accordo in conferenza Stato-Regioni) e per gli ammortizzatori sociali in quest’ultima. La verità lampante è che lo scopo serve per giustificare agli occhi dei cittadini (presto elettori) l’aumento della pressione fiscale. Le esigenze di bilancio si soddisfano come al solito (l’accoppiata vincente nel nostro Paese è sempre stata sigarette e benzina) e le spese improduttive, soprattutto in campagna elettorale, diventano di colpo incomprimibili.

Che il mercato dei tabacchi stia attraversando un momento critico, aggravato dall’incertezza che ha caratterizzato gli interventi fiscali recenti (a giugno 2017, per esempio, è stato innalzato drasticamente l’onere fiscale minimo sui prodotti di prezzo basso con un intervento in totale discontinuità con quelli dei due anni precedenti), è ormai certificato: la recente Legge di assestamento di Bilancio, infatti, ha rivisto al ribasso le previsioni relative ai proventi da accisa sui tabacchi, portandole da 11,05 a 10,05 miliardi di €:meno un miliardo, una variazione senza precedenti nella storia del mercato dei tabacchi. Per rimanere sui numeri: l’attuale tassazione sui tabacchi prevede meccanismi automatici di adeguamento delle imposte al variare del prezzo medio; l’inasprimento del prelievo conseguente all’introduzione di una tassa di scopo si tradurrebbe in aumenti di prezzo di circa 50 centesimi (e fino a 2 euro negli anni successivi), un’enormità se si pensa che aumenti molto inferiori indotti dagli interventi fiscali di giugno hanno provocato una rilevante perdita di gettito (meno 224 milioni nel periodo gennaio-settembre 2017, secondo i dati del MEF).

È ovvia a tutti la necessità di ridare slancio al mercato, ma ridare slancio non significa però auspicare un aumento dei fumatori; significa piuttosto garantire che il consumo sia confinato all’interno del mercato legale e che le dinamiche concorrenziali siano corrette: solo così si può massimizzare il benessere sociale, cioè tutelare la salute dei consumatori e massimizzare il gettito erariale. Si tratta di un compito difficile anche per il più esperto dei regolatori: certo non ci si può aspettare molto se la riforma fiscale dei tabacchi viene disegnata dall’azione congiunta della Commissione Affari Sociali e dalla Commissione Lavoro, che al di là dei buoni propositi stanno mettendo le mani su un oggetto a loro evidentemente sconosciuto.

Rimanendo nell’ambito dei tentativi di intervento goffi, estemporanei e, purtroppo, reiterati, va sottolineato che si continuano a presentare emendamenti alla manovra, che – se approvati – rivoluzionerebbero l’attuale struttura della tassazione sui tabacchi: è ormai chiaro a tutti che la riforma della tassazione sui tabacchi debba essere rivista, ma non nel modo e nella direzione verso cui si muovono questi emendamenti. Ogni intervento dovrebbe, infatti, essere preceduto da un’analisi preliminare approfondita, perché gli interessi in gioco sono complessi e rilevanti. Inoltre, visti i potenziali conflitti di interesse su cui ogni eventuale intervento andrebbe ad incidere, ciò da cui non si dovrebbe mai prescindere è l’organicità degli interventi, caratteristica tipica delle riforme sistemiche e non certo degli emendamenti dell’ultima ora.

Entrando nel merito, alcuni degli emendamenti in questione propongono di esprimere l’onere fiscale minimo, oggi espresso in €/kg, come percentuale della tassazione sul prezzo medio ponderato, percentuale che varia a seconda degli umori degli estensori degli emendamenti e che raramente trova una giustificazione di natura scientifica. Tra l’altro, il prezzo medio ponderato è per sua natura variabile e, peggio ancora, manipolabile, soprattutto in un mercato caratterizzato dalla presenza di posizioni dominanti consolidate nel tempo. Per fare un esempio, un produttore con una quota di mercato rilevante potrà decidere di alzare i prezzi (per incrementare i profitti e non certo per scoraggiare i consumatori), ottenendo un duplice effetto: l’aumento dei margini e l’inasprimento del carico fiscale sui concorrenti, proprio coloro che per competere vorrebbero lasciare i prezzi invariati.

E come se non bastasse, si vorrebbe concedere anche al legislatore, su presupposti di legge vaghissimi (questo è un problema della vigente legislazione), la possibilità di intervenire discrezionalmente sul rapporto tra onere fiscale minimo e tassazione sul prezzo medio ponderato, di nuovo sottoponendolo alle prevedibili pressioni dei portatori di diversi interessi. Inoltre, attraverso una serie di incrementi discrezionali (serie più o meno lunga a seconda dei margini di discrezionalità previsti dagli emendamenti, di nuovo senza alcuna base scientifica), l’onere fiscale minimo potrebbe raggiungere un livello superiore alla fiscalità totale pagata dalle sigarette vendute al prezzo medio ponderato. La natura dell’onere fiscale minimo ne uscirebbe stravolta, così come l’equa concorrenza sul mercato.

È sicuramente giunto il momento di un cambio di rotta, ma ogni intervento sulla tassazione dei tabacchi dovrà essere il risultato di una valutazione attenta, che consideri non solo le mal riposte speranze dell’Erario, ma anche le reazioni dei consumatori. Una volta riformata organicamente la tassazione sui tabacchi, riprendendo gli aspetti positivi della corrente legislazione e correggendone quelli negativi, nessun intervento discrezionale ed estemporaneo, dettato da esigenze di cassa più o meno condivisibili, potrà o dovrà essere proposto perché rischioso per tutti: i consumatori, l’Erario, l’industria. Piuttosto, sostenibilità, stabilità e prevedibilità dovrebbero essere i capisaldi di una riforma organica e complessiva della fiscalità di questo settore, coinvolgendo tutti gli attori coinvolti e non affidandosi a strumenti dell’ultima ora e dettati dall’urgenza. Un esempio a cui puntare potrebbe essere l’introduzione di un calendario fiscale sul modello tedesco, ancorato all’inflazione, che in Germania ha portato (pianificazione 2011-2015) ad un aumento generalizzato della tassazione ma consentendo all’Erario di realizzare, nel contempo, un gettito complessivo superiore alle previsioni di ben 2,4 miliardi di euro. Evitando invece l’esempio della Grecia in cui interventi repentini e squilibrati dettati dall’urgenza hanno ridotto i volumi di mercato e favorito la crescita esponenziale del contrabbando (meno 600 milioni per il solo 2016, in termini di mancate entrate).

Oggi, purtroppo, l’emergenza – che in Italia è spesso la causa di molti obbrobri legislativi –  è acuita anche dal clima pre-elettorale, tra l’altro caratterizzato da una sconosciuta incertezza sugli esiti finali. A farne le spese sembra debbano essere i soliti noti: perché, in fondo, chi vuole fumare deve spendere. Al momento, però, chi fuma contribuisce alle entrate dello Stato (il mercato dei tabacchi porta nelle casse dell’Erario circa 14 miliardi di euro tra accise e Iva), mentre domani potrebbe decidere di rivolgersi al mercato illegale, spendendo meno e scegliendo prodotti potenzialmente più dannosi, con buona pace dell’Erario. Questa è sicuramente la conseguenza più probabile di interventi volti ad inasprire il carico fiscale sui tabacchi, già elevatissimo, e a scoraggiare la competizione sul mercato. Il problema è che non si tratta di una conseguenza di breve periodo: se il mercato legale dovesse collassare, risollevarlo sarebbe un’impresa difficile da realizzare, soprattutto se per farlo si ricalcasse l’approccio naïf degli interventi attualmente all’ordine del giorno in Parlamento.

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