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Unicredit, Intesa e Mps, ecco come si salveranno dall’Addendum Bce

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Dopo Goldman Sachs anche Equita torna oggi sul problema delle esposizioni non performanti (Npe) delle banche italiane. È il grande tema di scontro fra la Banca centrale europea, che mira a una regolamentazione più severa in tema di crediti dubbi e deteriorati e il Parlamento europeo, che si sta opponendo. In mezzo c’è l’aumento di capitale da 700 milioni di euro del Credito Valtellinese, un rafforzamento imponente per una banca così piccola, che però permetterebbe all’istituto lombardo di arrivare al 2020 con un Npe ratio sotto al 10%.

Secondo Giovanni Razzoli, analista di Equita Sim, a fronte di 193 miliardi di Npe, le banche italiane hanno 69 miliardi di crediti non garantiti, di cui 51 sono sofferenze coperte mediamente al’83%. Per l’esperto le banche nel 2018 dovranno accelerare le vendite. E per raggiungere un Npe ratio del 10% (dal 14,4% medio attuale), gli istituti dovrebbero cedere 50 miliardi di Npe, per la maggior parte (26 miliardi) attraverso la cessione crediti non coperti dalla garanzia di immobili. Questa strategia, prosegue Equita , permette di ridurre la complessità aziendale e soprattutto è coerente con il razionale dell’Addendum Bce che porta ad azzerare il valore degli Npl non secured dopo due anni.

L’analista ipotizza un prezzo di vendita pari a 10 centesimi per i crediti unsecured, fatto che permetterebbe solo a Unicredit, Intesa Sanpaolo e Mps di ridurre l’Npe ratio sotto il 10% mantenendo un Cet1 adeguato (12-13%) anche senza applicare la sterilizzazione dell’aumento degli asset ponderati per il rischio (Rwa) che deriva dall’aggiornamento in atto dei parametri (Lgd) sui modelli interni (waiver). Per Equita tutte le altre banche avrebbero un Cet 1 sotto il 10%, o del 10% solo in caso di ottenimento del waiver, come proposto dal Parlamento europeo (i crediti deteriorati ceduti in massa su obbligo europeo dovrebbero non andare ad appesantire le serie storiche degli asset ponderati per il rischio, fatto di estrema rilevanza). E in caso di ottenimento del waiver, Unicredit, Intesa, Mps e Credito Emiliano avrebbero un Cet1 all’11% e potrebbero ridurre l’Npe ratio addirittura sotto il 5%, sempre secondo i calcoli della sim.

Gli americani di Goldman Sachs ieri hanno però fatto conti diversi. Hanno riavviato la copertura su Mps con giudizio neutral e target price a 4,5 euro per azione. Secondo gli esperti, le riserve attuali per accantonamenti, così come quelle in vista dei nuovi standard Ifrs9, permetteranno alla banca toscana di raggiungere gli obiettivi di medio termine oltre ai target di Npe ratio del 14,3% nel 2019 e del 12,9% nel 2021. E il piano di ristrutturazione, che prevede un taglio annuale dei costi del 4%, per gli analisti andrà a buon fine.

Quello che teme Goldman Sachs sono le pressioni della Bce sulla cessione troppo veloce delle esposizioni non performanti (Npe), che oggi si attestano al 19,4% (Npe ratio lordo), ovvero all’11,3% (netto). La banca prevede, nel piano di ristrutturazione, ricorda Goldman Sachs, di stare intorno al 13% nel 2021, che rappresenta un valore più alto di Unicredit (11%) e al livello di Intesa Sanpaolo (13%) oggi.

Nella tabella comparativa dello studio di GS sul settore bancario italiano è anche emerso il dato di Banco Bpm al 23% oggi, quello di Bper al 21%, meglio si trova Ubi al 14%. Il Credito Valtellinese , per esempio, ha un Npe ratio lordo del 21,1% e, grazie all’aumento di capitale da 700 milioni di euro, conta di tagliarlo al 9,6% nel 2020, anticipando le mosse della Bce (annunciate a ottobre nell’Addendum) prima che entrino in vigore.

(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza)


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