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Chi aiuta le donne a mettere al mondo figli e a poter continuare a lavorare?

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Secondo l’ultimo Rapporto Istat nel 2016 in Italia sono nati 473.438 bambini, oltre 12mila in meno rispetto al 2015. Nell’arco di 8 anni (dal 2008 al 2016) le nascite sono diminuite di oltre 100mila unità e nel 2017 sono calate ulteriormente. Il calo, scrive l’istituto di statistica, è attribuibile principalmente alle nascite da coppie di genitori entrambi italiani. “I nati da questa tipologia di coppia scendono a 373.075 nel 2016 (oltre 107mila in meno in questo arco temporale) – spiegano gli esperti dell’Istat -. Ciò avviene fondamentalmente per due fattori: le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno numerose e mostrano una propensione decrescente ad avere figli”.

Secondo i dati dell’ispettorato del lavoro nazionale sono 37.738 le dimissioni volontarie registrate in Italia per i genitori con figli fino a 3 anni di età. Ed è sempre stato un declino inarrestabile poiché la progressione storica del Rapporto che viene effettuato dal 2008 è sconfortante. Quest’anno le donne che si sono licenziate sono state 29.879 e tra le neomamme 5mila e 261 sono passate ad altre aziende mentre le restanti hanno deciso di abbandonare il lavoro e dedicarsi alla cura dei figli. Una scelta dettata dalla mancanza di nidi e dai costi troppo alti per l’iscrizione. I numeri più alti si registrano in Lombardia dove le dimissioni convalidate dalla regione sono 88 di cui 3757 sono dovute al passaggio ad altra azienda, ma tutte le altre (5.093) sono legate a motivi familiari.

Seimila e 767 donne si sono licenziate per mancato accoglimento al nido, assenza di parenti disponibili a curare il neonato ed elevata incidenza dei costi di assistenza. E altro dato che preoccupa riguarda le donne che guadagnano meno. Sono proprio queste con impieghi meno remunerativi costrette a lasciare il lavoro: tra operaie e impiegate, infatti, si arriva a 28.102 convalide, mentre quelle di dirigenti e quadri sono state solo 680. Non basta il premio alla nascita di 800 euro (bonus mamma domani) che viene corrisposto dall’Inps per la nascita o l’adozione di un minore, a partire dal 1° gennaio 2017, su domanda della futura madre al compimento del settimo mese di gravidanza (inizio dell’ottavo mese di gravidanza) o alla nascita, adozione o affido.

L’aria che tira non è delle migliori perché la legge di bilancio nel 2018 ha previsto che ci sarà il Bonus Bebè per le famiglie in difficoltà, ma a differenza degli anni scorsi, però, l’assegno di natalità sarà corrisposto per sole 12 mensilità e non fino ai tre anni del bambino. Rilanciare la natalità come investimento perché il differenziale tra il desiderio di maternità e i figli che si possono metter al mondo comporta un riconoscimento fiscale significativo a chi sceglie di “mettere su famiglia”. Per anni ci si è illusi che il contributo alla natalità da parte degli immigrati potesse compensare il calo dei figli per donna delle italiane. Ma anche loro sono scese da 2,65 figli per donna nel 2008 a 1,95 nel 2016 in cui i nuovi nati stranieri si sono fermati a 61mila.

Fondamentale è l’aiuto e il sostegno alle madri che lavorano alle quali è necessario garantire di non essere costrette a scegliere tra lavoro e tempo di cura con incentivi veri e propri alle aziende che applicano organizzazioni flessibili. Così come è bene raccontare la crisi demografica sui media, sensibilizzare la popolazione e aiutare i giovani/figli con politiche che considerano i figli come risorsa.

Lavoro e demografia vanno di pari in passo e non bisogna disperdere il capitale umano permettendo a giovani formati di andare anche all’estero a lavorare e stare in Italia valorizzando il loro lavoro, sostenere l’educazione alla famiglia e il ruolo della rappresentanza che questa comunità ha nel presente e nel futuro della società italiana.

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